Ieri, il cambio euro-dollaro si è apprezzato sopra 1,14, salito così ai massimi da un anno e segnando un guadagno di ben il 5,75% in appena 18 giorni. Era solo il 21 febbraio scorso, quando il cross scendeva sotto 1,08, ai livelli più bassi da inizio 2017. Da lì in avanti, la brusca risalita. Il biglietto verde non ha perso smalto solamente contro la moneta unica, avendo segnato mediamente -4,5% dal 20 febbraio contro le principali valute mondiali, scendendo ai minimi dal settembre 2018. Stamane, il dollaro guadagna circa lo 0,7% contro l’euro, facendo scendere il cross in area 1,1350.
Cambio euro-dollaro ai massimi da luglio e forse non è una buona notizia
Vi abbiamo già spiegato in un altro articolo di un paio di giorni fa, che la principale forza per il dollaro era arrivata in questi mesi dal cosiddetto “carry trade”, vale a dire dall’impiego dei capitali di tutto il mondo negli USA, al fine di sfuggire ai rendimenti negativi per essere investiti in assets più redditizi. Il Treasury a 10 anni, ad esempio, all’inizio di quest’anno sfiorava l’1,90%, mentre il Bund sulla medesima scadenza esitava il -0,18%. Lo spread Treasury-Bund, quindi, viaggiava in area 205 punti base, vale a dire che i titoli di stato americani rendevano oltre il 2% in più all’anno.
Ieri, il Treasury è arrivato a scendere fin sotto lo 0,40%, registrando un ennesimo minimo storico in pochi giorni al -0,318%. Considerando che nel frattempo il Bund risultava collassato anch’esso a un nuovo minimo record del -0,84%, la distanza tra i due bond si era ristretta a 130 punti base (1,30%), 75 in meno da inizio anno. In altre parole, il vantaggio di investire nel debito a stelle e strisce, anziché in quello teutonico, si è ridotto di tre quarti di punto all’anno. Questo frena gli investimenti in assets in dollari, indebolendone il tasso di cambio.
Cambio euro-dollaro, il paradosso
A questi livelli di spread, il mercato si attenderebbe che tra 10 anni il cambio euro-dollaro si attesti a meno di 1,29, segnalando una debolezza quasi cronica per la moneta unica. Ma questa previsione molto più “bearish” di alcuni mesi fa apparentemente fa a pugni con la ridotta divergenza monetaria attesa tra Federal Reserve e BCE. I rendimenti americani collassano per via degli ulteriori tagli dei tassi previsti negli USA, dopo quello varato in emergenza la settimana scorsa. Nell’Eurozona, la BCE non dispone più di margini significativi per allentare la sua politica monetaria, per cui i rendimenti avrebbero toccato già il punto più basso, ad eccezione dei Bund per via della loro natura di bene rifugio.
Tutto ciò dovrebbe sostenere l’euro ai danni del dollaro più di quanto non si stia verificando, ma il problema è che l’economia nell’Eurozona resta debole e, anzi, a seguito del tracollo della produzione in corso in Italia e alla frenata in Germania, non si esclude nemmeno la recessione. E con il petrolio sceso ai minimi dal 2016, le banche centrali, pur quando non siano in grado di tagliare di più i tassi, possono confidare in aspettative d’inflazione “fredde” o anche calanti, prendendosi tutto il tempo necessario prima di normalizzare la loro policy. Inoltre, il clima di paura sui mercati sorregge, comunque, il dollaro, che rimane la valuta di riserva mondiale.
Cambio euro-dollaro, crollano le aspettative a lungo termine: cosa significa?