E’ sceso a ridosso di 1,06 e la debolezza di fondo rimane. Il cambio euro-dollaro si è così portato ai minimi da sei mesi. Bisogna tornare indietro al marzo scorso per trovare valori così bassi. Erano le settimane della temuta crisi bancaria deflagrata negli Stati Uniti. Stavolta, c’entra quella che in gergo definiamo la “divergenza monetaria”. A differenza della Banca Centrale Europea (BCE) della scorsa settimana, la Federal Reserve non ha alzato i tassi di interesse ieri, lasciandoli invariati al range di 5,25-5,50%.
Aumenta divergenza monetaria attesa tra FED-BCE
Il cambio euro-dollaro arretra, dunque, perché nel medio termine il mercato si aspetta che i tassi americani resteranno più alti di quelli nell’Eurozona. Il T-bond a 2 anni offre oggi il 5,16% contro il 3,28% del Bund di pari durata. Lo spread tra i due sfiora i 190 punti base o 1,90%. A luglio, quando il cross era salito fino a 1,1250, il differenziale di rendimento giaceva sotto 160 punti o 1,60%.
Guardando ai futures, notiamo che il mercato si aspetta con probabilità del 45% che la FED alzi i tassi un’ultima volta entro quest’anno e li tagli solamente di 2-3 volte per lo 0,25% ciascuno entro il 2024. Invece, la BCE avrebbe smesso di alzare i tassi e li taglierebbe un paio di volte per lo 0,25% ciascuno entro dicembre dell’anno prossimo.
Ad impattare sulle previsioni e, dunque, anche sul cambio euro-dollaro, vi sono le divergenti prospettive macroeconomiche a medio termine. Mentre l’Eurozona rischia di entrare in recessione e, in ogni caso, esibisce un’attività economica molto debole, gli Stati Uniti continuano a crescere, sebbene rallenterebbero il passo nei prossimi trimestri.
Su cambio euro-dollaro pesa economia
Aggiungiamo le solite criticità riguardanti l’Eurozona: venti economie con altrettante politiche fiscali e una politica monetaria comune. Difficilissimo per la BCE non tenere conto del differente impatto delle sue decisioni sui diversi bilanci statali. La stretta colpisce più duramente i paesi molto indebitati e rischia di riportare in auge le tensioni del 2011 con l’esplosione degli spread. Allora, posero fine al tentativo di alzare i tassi dopo i maxi-tagli decisi per reagire alla crisi finanziaria del 2008-’09.
Infine, un cambio euro-dollaro eccessivamente debole è una pessima notizia proprio per la BCE. Esso innalza il costo dei beni importati, specie di materie prime come il petrolio, riducendo l’efficacia delle sue azioni per combattere l’inflazione. E con un Brent che viaggia sopra 90 dollari al barile, il rischio sta diventando sempre più palpabile. Ragione per cui dovremmo fare attenzione a considerare conclusa la stretta di Francoforte.