E’ stata una settimana positiva quella che sta per concludersi sul mercato forex per il cambio euro-dollaro. Non solo è tornato per la prima volta dopo settimane a testare la soglia di 1,10, ma ieri l’ha abbondantemente superata con convinzione, spingendosi in area 1,1170. Il cross è salito ai massimi da fine febbraio dello scorso anno, cioè da sedici mesi e mezzo. Un risultato che è stato possibile solo grazie al dato sull’inflazione di giugno negli Stati Uniti, reso noto quando in Europa era mercoledì pomeriggio.
Il rafforzamento del cambio euro-dollaro si deve alla convinzione del mercato che l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve si accinga alla fine. A fine mese, quasi certamente il governatore Jerome Powell ritoccherà il costo del denaro di un altro quarto di punto percentuale al 5,50%. Sarebbe l’ultimo della serie iniziata nel marzo dello scorso anno. Non così in fretta, invece, è attesa la fine della stretta da parte nell’Eurozona. La Banca Centrale Europea (BCE) aumenterà i tassi dello 0,25% a luglio, ma resta l’ipotesi di una decima stretta consecutiva per settembre.
Ad oggi, i tassi FED restano fissati al 5,25% e i tassi BCE al 4%. Il differenziale dell’1,25% ha tenuto il cambio euro-dollaro basso, anche perché gli Stati Uniti partirono con la stretta monetaria ben quattro mesi prima dell’Eurozona. Alla fine del settembre scorso, il cross era sprofondato ai minimi dal 2022 in area 0,95%. In quel momento, i tassi BCE erano ancora all’1,25% contro il 2,50% dei tassi FED. Soprattutto, il mercato dubitava sulla capacità di Francoforte di contrastare efficacemente l’inflazione, dati i noti problemi di governance legati alla gestione di ben diciannove mercati sovrani. Sarebbero saliti a venti a gennaio con l’ingresso della Croazia nell’euro.
Cambio euro-dollaro resta frenato
Ma il cambio euro-dollaro in netta ripresa è o non è una buona notizia per i cittadini comuni? Acquistare prodotti e servizi in valuta americana costerà di meno. E ciò aiuterà a disinflazionare l’Eurozona. Viceversa, esportare verso gli Stati Uniti sarà un po’ meno facile per le nostre aziende. L’Italia, ad esempio, ogni anno matura su questo mercato la metà del suo intero avanzo commerciale, qualcosa come circa 30 miliardi di dollari. Va detto, però, che tra Eurozona e Stati Uniti la competizione difficilmente si basa in via principale sul fattore prezzo. Essendo due aree ricche del pianeta, è la qualità del prodotto a rilevare. Nel complesso, dunque, un euro più forte ci farà bene.
E durerà questo trend? Dopo mercoledì, il mercato sconta tassi FED fino al 5,50% e tassi BCE al 4% entro settembre. La divergenza monetaria tra le prime due banche centrali del pianeta dovrebbe ridursi all’1% dall’1,25% attuale. Non granché. E rispetto ai mesi passati, gli investitori per il momento non intravedono più alcun taglio dei tassi FED entro l’anno. Lo stesso dicasi per i tassi BCE. Questo significa che il cambio euro-dollaro non dovrebbe continuare a rafforzarsi oltre i livelli attuali. Anzi, è possibile una qualche correzione, con il tasso a rimanere sopra 1,10.
D’altra parte non è l’euro che si rafforza, è il dollaro che s’indebolisce. La divisa americana perde in media contro le principali valute mondiali il 3% in poco più di una settimana. Nello stesso arco di tempo, il cambio euro-dollaro risale di meno del 3%. Dunque, non ci sarebbe alcuna specificità positiva per l’Eurozona. Del resto, è vero che la BCE non può facilmente fermare la stretta sui tassi con un’inflazione a giugno ancora al 5,5% e un dato “core” in leggera ripresa al 5,4%.