Giugno è il mese del Pride, dedicato alla lotta contro l’omofobia, anzi contro l’omotransfobia per usare un termine ancora più inclusivo. E sono state tantissime le multinazionali che hanno deciso di aderire alla campagna internazionale per sensibilizzare governi e opinione pubblica sulla condizione degli omosessuali. In queste settimane di europei di calcio, lo stiamo notando durante le stesse partite, con numerosi sponsor che hanno voluto illuminare i loro marchi sui tabelloni pubblicitari a bordocampo dei colori dell’arcobaleno. Persino la cinese TikTok l’abbiamo vista in Italia-Austria a sostegno dei diritti civili.
Ma la sensazione che dietro a queste campagne si celino adesioni semplicemente formali e per ragioni di marketing si va facendo sempre più forte. Già dai primi giorni del mese abbiamo potuto notare come i colossi che hanno per l’occorrenza adeguato i rispettivi marchi con i colori dell’arcobaleno, si fossero limitati a farlo per le realtà occidentali. I siti web nel Medio Oriente sono rimasti immutati. Eppure, si tratta dell’area del mondo in cui i diritti degli omosessuali risultano più negativi e, anzi, questi rischiano persino una condanna a morte o comunque problemi legali. Ci sono ancora stati in cui l’omosessualità è considerata reato.
E l’ipocrisia riguarda il mondo del calcio più di quanto immaginiamo. La scorsa settimana, la nazionale tedesca avrebbe voluto illuminare lo stadio di Monaco dei colori arcobaleno per disputare la partita contro l’Ungheria. Un messaggio esplicito di condanna alle leggi del governo Orban contro le associazioni LGBTQIA+. Ma la UEFA ha negato il consenso per evitare che la manifestazione sportiva veicolasse un messaggio politico. Ebbene, ci chiediamo se il calcio europeo mostrerà tanta solerzia ai prossimi mondiali del 2022, che si disputeranno nel Qatar, dove l’omosessualità maschile è vietata, mentre quella femminile viene tollerata.
La scelta ipocrita della Lega di Serie A
La Lega di Serie A ha confermato l’adesione “selettiva” alla campagna contro l’omofobia, portata avanti da numerose società.
Forse, non è un caso che la metà dei diritti TV esteri per la Serie A arrivi da BeIn Sport, la società qatariota che versa 170 milioni di euro a stagione nelle casse dei nostri club. Meglio non irritare coloro che negli ultimi tre anni hanno finanziato il sistema calcio tricolore.
Sensibilizzare chi è già sensibile al tema e ignorare quest’ultimo laddove discuterne metterebbe in imbarazzo istituzioni, opinione pubblica e lo stesso mondo del business. Siamo nell’era dell’ipocrisia, in cui si abbracciano battaglie a tempo per captare un nuovo segmento di pubblico o consolidarne uno già conquistato. Ma tra le parole e i fatti sussiste un abisso di qualunquismo, superficialità e ostensione fine a sé stessa.