Dal prossimo anno aumenterà la cedolare secca per chi affitta casa. L’aliquota, come previsto dalla bozza delle legge di bilancio per il 2020, passerà dal 10 al 12,50 per cento per i contratti d’affitto a canone concordato. Mentre per gli affitti a canone concordato in Comuni con particolare densità abitativa o per case affittate a studenti l’aliquota resterà al 10%.
Un rincaro che in verità era già previsto dalle legge e che prevede a partire dal 2020 un rincaro dal 10 al 15 per cento dell’imposta e che il governo ha mitigato dimezzando il salasso.
Chi pagherà di più dal prossimo anno
Una misura che avrà certamente ripercussioni sugli inquilini che stipuleranno nuovi contratti di locazione, perché come solitamente avviene in questi casi, gli aumenti del fisco vengo sempre scaricati sul consumatore finale. In questo caso, l’inquilino. E’ quindi ragionevole pensare che i nuovi canoni d’affitto subiranno un ritocco all’insù e per coloro che avranno redditi bassi non sarà tanto facilmente sopportabile. Un affitto di un appartamento a Milano con canone pari a 1.000 euro mensili potrebbe costare 25 euro in più all’inquilino, cifra che su base annua diventerebbe 300 euro. Non poco, di certo.
Il rischio evasione
Una maggiore pressione fiscale sui canoni d’affitto rischia quindi di ripercuotersi su quel mantra che il governo sta cercando di combattere con ogni mezzo: l’evasione fiscale. Non è mistero che in molti casi, proprietari e inquilini possano mettersi d’accordo per concordare un canone d’affitto più basso ma in nero, il che farebbe perdere allo Stato quel guadagno in più che deriverebbe con l’aumento dell’aliquota al 12,50 per cento.
Cosa dice la legge sugli affitti
Le imposte sui canoni d’affitto sono regolati dal decreto legge numero 47 del 28 marzo 2014. In esso sono previste due aliquote: la cedolare secca del 21% per contratti d’affitto a canone libero e la cedolare secca del 10% per contratti a canone concordato in Comuni con mancanza di soluzioni abitative o densamente popolati, per contratti d’affitto a studenti universitari e nei Comuni in cui ci sono state calamità naturali e per gli affitti transitori disciplinati dalla legge n. 431/1998. Si tratta di un regime facoltativo, alternativo alla tassazione ordinaria ai fini Irpef, la cui aliquota minima per i redditi più bassi è al 23%. Tale regime fiscale agevola il contribuente anche sotto il profilo delle imposte di registro in quanto non prevede il pagamento dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo, solitamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione.