Il lunedì nero delle borse mondiali non sarà dimenticato con facilità. In pieno clima vacanziero è arrivata una bella botta dai mercati finanziari, che rischia di far rientrare qualcuno dalle ferie ben prima del previsto. Le cause di quanto accaduto sarebbero diverse e non tutte facili da individuare. Ma poiché il crollo è partito dalla Borsa di Tokyo, acquista sempre più credito che la causa scatenante sia legata al “carry trade”. Per essere più precisi, alla sua fine.
Cos’è il carry trade
Può essere che abbiate letto o sentito parlare più volte di questa espressione a molti oscura.
Rialzo dei tassi globale
Fino allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina i tassi di interesse erano a zero praticamente ovunque. Con l’esplosione dell’inflazione, le banche centrali dovettero porre fine alle politiche ultra-espansive degli anni precedenti. Iniziarono ad alzare i tassi e a ridurre fino ad azzerare gli acquisti dei bond. Il costo del denaro s’impennò ai massimi da inizio millennio. Ovunque, tranne che in Giappone. Qui, complice un’inflazione rimasta contenuta, la banca centrale ha tenuto i tassi negativi e continuato ad acquistare bond.
Capite bene che se gli Stati Uniti hanno tassi al 5,50%, l’Eurozona al 4,50% e il Giappone al -0,10%, prendere un prestito conviene proprio nel Sol Levante. Ed è stato così che gli investitori di tutto il mondo, nipponici stessi, si sono finanziati in yen per acquistare asset all’estero sia sul mercato a reddito fisso (bond) che su quello azionario.
Uscita dai tassi negativi in Giappone
Tutto questo meccanismo del “carry trade” ha retto fino a qualche mese fa. A marzo, la Banca del Giappone ha dovuto porre fine ai tassi negativi. Ha alzato il costo del denaro allo 0,10%. Pochissimo per i nostri standard, ma quello fu già un primissimo segnale di inversione di rotta. Pochi giorni fa, la sorpresa estiva: tassi alzati ancora allo 0,25%. Perché? L’inflazione resta sopra il 2%, target fissato dall’istituto, e lo yen era sceso fin troppo contro il dollaro. Addirittura, il cambio si era portato ai minimi da fine anni Ottanta, rendendo necessario l’intervento della banca centrale sul mercato forex.
Grazie a queste mosse, lo yen ha recuperato in pochissime settimane l’11,50% contro il dollaro. Un fatto positivo per chi possiede asset in valuta nipponica, non di certo per chi possiede debiti in essa denominati. E tra questi vi sono proprio coloro che avevano sfruttato negli ultimi anni il “carry trade” per finanziarsi a basso costo. In pochissimo tempo, hanno assistito a un aumento dei tassi da un lato e dello yen dall’altro. Ad un certo punto, hanno temuto che, aspettando ancora di più per restituire i prestiti, avrebbero finito per subire una stangata ancora maggiore.
Carry trade ancora meno conveniente nel prossimo futuro
Cos’è successo, alla fine dei conti, lo scorso lunedì? Gli investitori hanno restituito parte dei finanziamenti in yen, tra l’altro cedendo gli asset che avevano acquistato con la liquidità ottenuta. Questo contrordine ha portato al crollo di azioni e “criptovalute”, mentre lo yen si è rafforzato ulteriormente.