Cartelle esattoriali: 9 milioni di avvisi in arrivo

Dal 16 ottobre 2020 ripartono le azioni di recupero di Agenzia delle Entrate ed enti locali. In arrivo 9 milioni di cartelle esattoriali.
4 anni fa
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Oltre 5 anni per recuperare una cartella esattoriale e meno di 2 contribuenti su 10 pagano nei 60 giorni
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Ripartono le notifiche delle cartelle esattoriali. Dal prossimo 16 ottobre 2020 è infatti previsto lo sblocco delle attività di riscossione da parte di Agenzia delle entrate ed enti locali creditori.

Questo vuol dire che ripartono a pieno ritmo le attività di recupero che erano state sospese con la crisi pandemica. Si tratta di un lento e graduale ritorno alla normalità anche per quanto concerne le azioni esecutive, così come previsto dalla legge.

Ci si attende, secondo le stime, una valanga di cartelle esattoriali e notifiche pari a circa 9 milioni di avvisi di pagamento.

Fra questi, la ripresa del pagamento delle rate sospese, ma anche le nuove azioni esecutive compresi i pignoramenti su stipendi e pensioni.

Il provvedimento è contenuto nel decreto di Agosto che aveva esteso il periodo di salvaguardia per i debitori fino al 15 ottobre 2020. Un tentativo di stop delle attività fiscali era stato fatto in commissione bilancio in fase di conversione del decreto in legge, ma è andato a vuoto.

Riprende la notifica delle cartelle esattoriali

Quindi, a meno che il governo non intervenga all’ultimo momento nell’ambito della proroga dello stato di emergenza, dalla prossima settimana ripartono le notifiche. Cartelle esattoriali e avvisi sono pronti per essere recapitati ai destinatari. Si parla di un numero che sfiora i 9 milioni di avvisi, praticamente uno tsunami che investirà un contribuente su sette in tutto il Paese.

La ripresa delle attività di recupero crediti riguarda sia i dei debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, sia le ingiunzioni fiscali emesse dagli enti territoriali (Comuni, Province e Regioni). Anche se si tratta di debiti scaduti da tempo o relativi a dilazioni decadute.

Più nel dettaglio, la nuova sospensione dei termini riguarda le somme dovute a titolo di stipendio. Quindi cassa integrazione, pensione e altre indennità relative al rapporto di lavoro, comprese quelle dovute a causa di licenziamento.

Tutti i procedimenti sospesi si riattiveranno automaticamente e senza bisogno di ulteriore avviso.

Le rate sospese

La proroga del blocco dei pignoramenti incide anche sul piano rateale già attuato. In pratica, le rate sono state congelate fino al 15 ottobre 2020. Per chi ha concordato un piano di rientro dilazionato durante il periodo di emergenza nazionale si è visto quindi bloccati dall’agente di riscossione i relativi importi dilazionati. Dal 16 ottobre, però, l’azione esecutiva riprenderà regolarmente col rischio che il creditore pretenda il pagamento di tutte le rate insolute per non ricadere nell’azione esecutiva.

Il decreto Rilancio aveva però ampliato a 10 rate non pagate la soglia di tolleranza per evitare la perdita del beneficio del termine, il che significa che se dal 8 marzo (inizio dell’emergenza sanitaria) al 15 ottobre il debitore aveva in corso rate mensili non pagate, a novembre riprenderà a pagarle con cadenza mensile, senza interessi o sanzioni e senza decadere dal piano di dilazione concordato.

Limiti di pignorabilità

Vale la pena ricordare quali sono i limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni, così come stabiliti dalla legge. Secondo il codice civile, il limite pignorabile dello stipendio o della pensione è un quinto dell’importo mensile, al netto di tasse, contributi, crediti, assegni familiari, ecc. Pertanto, se un lavoratore percepisce uno stipendio di 1.200 euro mensili, gli saranno detratte 240 euro.

Inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 545 del codice di procedura civile, le somme dovute a titolo di stipendio o salario che sono state già accreditate sul conto bancario o postale intestato al debitore prima del pignoramento possono essere pignorate solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale.

Per la pensione vale lo stesso metro di misura, ma bisogna tenere conto di un limite oltre il quale non è possibile aggredire l’assegno pensionistico. Tale limite è fissato nella misura di 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale che è aggiornato di anno in anno.

Questa soglia è ritenuta il “minimo vitale” al di sotto del quale non è possibile privare il debitore dei mezzi minimo di sostentamento. A oggi l’importo dell’assegno sociale è pari a 453 euro per cui il limite di pensione non aggredibile è 679,50 euro.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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