La scorsa settimana, il Consiglio dei ministri ha approvato un condono fiscale travagliato sul piano politico, sostenuto principalmente da Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle e avversato da PD e Leu. Alla fine, l’esito è stato parzialmente soddisfacente per tutti, ma lasciando a bocca asciutta molti contribuenti. Lo stralcio riguarderà 16 milioni di cartelle esattoriali (non 61 milioni, come nelle previsioni iniziali) tra il 2000 e il 2010, mentre il centro-destra avrebbe voluto estenderlo fino al 2015. Inoltre, sarà limitato ai contribuenti che nell’anno 2019 abbiano dichiarato un reddito non superiore a 30.000 euro.
Tuttavia, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha ricevuto il mandato di studiare una complessiva revisione del sistema di riscossione, con la promessa fatta dal premier Mario Draghi a Lega e Forza Italia di procedere alla cancellazione automatica delle cartelle esattoriali emesse e in relazione alle quali l’agente non abbia provveduto con azioni esecutive a riscuotere il debito. Secondo Matteo Salvini, grazie a questa riforma verrebbe cancellato almeno il 90% di 137 milioni di cartelle esattoriali a favore di 18 milioni di italiani.
Presentando il provvedimento in conferenza stampa, Draghi ha dichiarato che “lo stato non ha funzionato”, in quanto non ha avuto la capacità di riscuotere il dovuto neppure dopo 20 anni. In effetti, nove cartelle su dieci oggi risulterebbero inesigibili o perché emesse ai danni di soggetti defunti o irreperibili o di imprese fallite, etc. Nel cosiddetto “magazzino” dell’ex Equitalia vi sarebbe una montagna di quasi 1.000 miliardi di euro di debiti non riscossi.
Cartelle esattoriale: il condono è servito
La riforma della riscossione che serve all’Italia
Il condono fiscale parziale appena varato non servirà di certo a ridare un po’ di ossigeno all’economia italiana, come si era prefisso il governo.
Ma se nove cartelle su dieci sono inesigibili, che senso ha tenerle in vita? Lo stralcio avrebbe il vantaggio di sanare posizioni che rischiano di trascinarsi legalmente per tanti anni ancora, creando incertezza giuridica, fiscale e tanto lavoro inutile a carico degli enti preposti. La riforma promessa già per il prossimo mese avrebbe l’indubbio pregio di definire un arco temporale entro il quale o il riscossore si mostra in grado di incassare il debito dal contribuente o questo cessa di esistere. Qualcuno recriminerà che così facendo si incentiveranno le pratiche dilatorie, ma l’effetto della riforma potrebbe tradursi in una maggiore efficienza in fase di riscossione: poiché l’agente è consapevole che rischia di perdere tutto, meglio per esso se riesce a velocizzare le azioni esecutive o a giungere almeno a un accordo con il contribuente per incassare il prima possibile.
La riforma della riscossione darebbe ossigeno all’economia italiana in prima battuta, archiviando pratiche risalenti alla notte dei tempi. E nel tempo, essa creerebbe le condizioni perché lo stato riesca a introitare un numero maggiore di miliardi ogni anno dalla lotta all’evasione.
Tasse alte e non l’evasione fiscale vera emergenza nazionale dell’Italia