L’Unione Europea ha potuto stanziare 50 miliardi di euro a favore dell’Ucraina con il via libera del Consiglio di settimana scorsa. Un successo arrivato dopo che l’Ungheria di Viktor Orban ha fatto cadere il veto sulla proposta. Gli impegni presi da Bruxelles tra il 2022 e il 2023 nei confronti di Kiev sfiorano i 230 miliardi. E a loro volta sarebbero appena la metà dei 441 miliardi di costi stimati dalla Banca Mondiale nel giugno dello scorso anno per la ricostruzione. Molto probabile che siano da allora lievitati e anche parecchio.
Come funziona un cat bond
I “cat bond” sono poco diffusi nel mondo avanzato, mentre diverse emissioni sono avvenute in America Latina, Africa e Asia. Come spiega il nome, si tratta di obbligazioni sovrane emesse dagli stati per proteggersi dai rischi di un evento disastroso, come un terremoto, uno tsunami, un uragano, ecc. Funziona più o meno così: gli obbligazionisti avranno diritto alla restituzione del capitale alla scadenza e alle cedole staccate fino ad allora, esattamente come per un titolo ordinario. Tuttavia, se l’evento assicurato si verifica, la restituzione del capitale diverrà parziale e sempre più bassa con l’aumentare dei danni da esso provocati.
Ad esempio, un “cat bond” contro il terremoto in una specifica area può prevedere che in caso di magnitudo almeno 6 della scala Richer il capitale venga rimborsato solo al 75%. Se la magnitudo fosse di 7, il rimborso sarebbe del 50%. Se fosse di 8, del 30%. E così via. In altre parole, gli obbligazionisti si assumono il rischio. Nel caso dell’Ucraina, sarebbe autorizzata dai governi europei ad emettere un “cat bond” garantito dagli asset russi congelati.
Costi della guerra a carico dei russi
Esistono varie idee su come finanziare la ricostruzione. La più ardita sarebbe di “espropriare” la Russia di tali asset e versarli nelle casse di Kiev. C’è un problema: una mossa del genere, anche ammesso che trovasse copertura legale internazionale, indebolirebbe l’euro. Il mercato europeo non sarebbe più percepito sicuro dagli investitori pubblici e privati provenienti da stati non allineati. La soluzione più morbida consisterebbe nel restituire tali asset alla Russia alla fine della guerra e magari solo dopo che avrà pagato le spese di riparazione. Nel frattempo, i rendimenti maturati sarebbero girati all’Ucraina.
Esisterebbe lo stesso problema di natura legale di prima, ma il punto è un altro: sarebbe una goccia nel mare. L’anno scorso, tali asset hanno reso 4,4 miliardi. Praticamente, un centesimo di quanto avrebbe bisogno l’Ucraina per rimettersi in piedi. Da cui la prospettiva del “cat bond”. Come funzionerebbe nello specifico? Più danni la Russia provocherà, minore la restituzione del capitale agli obbligazionisti. Questa soluzione finirebbe per incentivare Vladimir Putin a limitare i danni, anzi a cessare la guerra. Come? L’idea sarebbe di far sì che i creditori siano proprio i russi. I loro asset verrebbero trasformati in obbligazioni.
Cat bond ad alto costo per Kiev
Se, invece, avvenisse una vendita vera e propria sui mercati internazionali, sarebbero i creditori privati ad assumersi il rischio. Ma improbabile che i capitali arrivino a guerra iniziata, cioè ad evento calamitoso già in corso. Tra l’altro, l’interesse da riconoscere dovrebbe essere così elevato, che in buona sostanza l’Ucraina rischierebbe di svenarsi paradossalmente nel caso in cui la Russia cessasse la guerra e non si verificassero più i danni contro cui scatterebbe la tutela finanziaria.
Pensate solo che il bond ucraino in dollari a 10 anni offre un rendimento prossimo al 40%. E lo zero coupon agganciato al PIL e senza scadenza quota intorno ai 45 centesimi. Il “cat bond” dovrebbe o fissare una cedola così alta da consentire a Kiev un’emissione non troppo sotto la pari o fissare un incasso ben inferiore all’esposizione debitoria. Anche se la soluzione arrivasse dalla trasformazione degli asset russi in obbligazioni, dal punto di vista tecnico la Russia avrebbe molto da eccepire per poter parlare di esproprio ai suoi danni. Non farebbe bene alla reputazione europea.