Nel panorama sempre più complesso della cessione del credito legata ai bonus edilizi, emerge un nuovo capitolo destinato a fare discutere. Poste Italiane, tra i principali operatori abilitati all’acquisto dei crediti d’imposta maturati da interventi edilizi, ha recentemente avviato un’azione retroattiva nei confronti dei contribuenti.
L’obiettivo? Richiedere, a distanza di anni, una serie di documenti che giustifichino le operazioni di cessione o sconto in fattura, al fine di limitare il rischio di responsabilità solidale in caso di irregolarità.
Questa iniziativa non rappresenta un controllo di tipo fiscale, bensì una misura cautelare da parte del cessionario per tutelarsi da eventuali contenziosi con l’Agenzia delle Entrate. L’azione intrapresa da Poste assume le sembianze di una strategia preventiva, finalizzata a rafforzare la propria posizione in vista dei controlli promessi dall’Amministrazione finanziaria.
Cessione del credito: una manovra precauzionale dopo l’evoluzione normativa
L’intervento di Poste Italiane si colloca in un contesto normativo radicalmente mutato. Prima del giugno 2022, mancava un quadro chiaro che disciplinasse in modo puntuale le responsabilità del soggetto acquirente del credito. La svolta è arrivata con la Circolare del 23 giugno 2022, che ha introdotto per la prima volta una riflessione sistematica sul possibile concorso in violazione da parte del cessionario.
Sulla responsabilità solidale nella cessione del credito è reso esplicito che l’acquirente del credito d’imposta può essere ritenuto corresponsabile in caso di frodi, soprattutto se non sono stati adottati misure di verifica adeguate. Da quel momento, gli operatori del mercato si sono trovati a rivedere i propri protocolli di acquisizione e gestione del credito.
Nel caso specifico, Poste Italiane ha deciso di estendere retroattivamente questo nuovo approccio anche alle operazioni precedenti alla circolare, avviando una revisione dei crediti già acquistati negli anni passati.
Documentazione richiesta dalle Poste ai contribuenti
La richiesta da parte di Poste avviene in forma ufficiale e prevede una diffida formale ad adempiere entro 30 giorni. I contribuenti, destinatari della richiesta, sono chiamati a fornire un insieme dettagliato di documenti, nonostante nei contratti originari di cessione non fosse previsto alcun obbligo esplicito in tal senso.
La documentazione richiesta si ispira ai requisiti introdotti dall’articolo 121, comma 6-bis, del Decreto Legge 34/2020 (convertito con modifiche dalla Legge 77/2020) e aggiornati dal Decreto Legge 11/2023, noto anche come Decreto Cessioni. Tra i principali documenti richiesti figurano:
- titolo abilitativo edilizio (permesso di costruire, SCIA, CILA, CILAS, ecc.), oppure dichiarazione sostitutiva per lavori rientranti nell’edilizia libera;
- notifica preliminare all’ASL (o dichiarazione che attesta la non necessità);
- visura catastale storica, oppure richiesta di accatastamento;
- fatture e ricevute comprovanti le spese sostenute;
- prova dei pagamenti tramite bonifico parlante, specificando causale, codice fiscale del beneficiario e del destinatario;
- asseverazioni tecniche (ove previste): energetiche, sismiche o relative alla congruità della spesa;
- computo metrico estimativo, iscrizione all’albo professionale e relativa polizza assicurativa del tecnico;
- per lavori condominiali: copia della delibera assembleare e tabelle di riparto millesimali;
- visto di conformità, quando richiesto dalla normativa vigente;
- attestazione di rispetto delle normative antiriciclaggio (se previsto);
- contratto d’appalto stipulato tra il committente e l’impresa esecutrice dei lavori.
Questa mole di documentazione, che in molti casi risale a diversi anni fa, rappresenta per i contribuenti un impegno non indifferente, soprattutto alla luce del fatto che non si tratta di una verifica fiscale, ma di una richiesta unilaterale da parte di Poste.
Un contesto in evoluzione: il ruolo della responsabilità solidale
Alla base di questa iniziativa vi è il principio della responsabilità in solido tra cedente e cessionario. Con l’intensificarsi delle indagini sulle frodi legate alla cessione del credito, l’Agenzia delle Entrate ha annunciato un piano di controlli mirati sui crediti transitati tramite la piattaforma telematica. In caso di irregolarità, il fisco può risalire lungo la catena delle cessioni e chiedere conto anche ai soggetti acquirenti.
Poste Italiane, per limitare il rischio di essere coinvolta in eventuali contestazioni future, ha così scelto di anticipare le verifiche e chiedere ai contribuenti tutta la documentazione utile a dimostrare la legittimità dei lavori e della relativa cessione del credito. Un comportamento che, da un lato, può apparire prudente e giustificabile, ma dall’altro solleva interrogativi circa la retroattività di tali pretese e la posizione contrattuale degli utenti coinvolti.
Verifica retroattiva della cessione credito: monito per altri cessionari?
La mossa di Poste Italiane potrebbe fare scuola anche per altri operatori del settore. In un mercato segnato da norme in continua evoluzione e da un clima di crescente attenzione ai fenomeni elusivi, è plausibile che altri cessionari decidano di adottare strategie simili, creando un effetto domino con potenziali ripercussioni su migliaia di contribuenti.
In questo scenario, chi ha usufruito dei bonus edilizi e ha optato per la cessione del credito dovrà farsi trovare preparato. Conservare e organizzare accuratamente tutta la documentazione diventa fondamentale, anche a distanza di anni dall’intervento edilizio.
Riassumendo
- Poste richiede documentazione retroattiva sui crediti edilizi per tutelarsi da responsabilità.
- L’iniziativa nasce dopo chiarimenti normativi sulla responsabilità del cessionario.
- Non è un controllo fiscale, ma una misura precauzionale di autotutela.
- I documenti richiesti seguono quanto previsto dal Decreto Cessioni.
- I contributori hanno 30 giorni per inviare la documentazione richiesta.
- Cresce l’incertezza per chi ha usufruito della cessione del credito in passato.
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