Ieri, è morto all’età di 90 anni abbondanti lo sceicco Zaki Yamani, nome che ai più, se non tutti, non dirà assolutamente nulla. Invece, fu un grande protagonista della storia economica mondiale nel secolo scorso. Le conseguenze delle sue azioni probabilmente le stiamo ancora pagando oggigiorno. Yamani fu nominato ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita nel 1962, ad appena due anni dalla nascita dell’OPEC, il cartello che riunisce ancora oggi molti dei principali paesi esportatori di greggio e di cui Riad è leader di fatto.
In quella carica, Yamani vi rimase per 24 anni. Già nel 1967, a seguito della Guerra dei Sei Giorni arabo-israeliana, l’uomo impose l’embargo petrolifero ai danni dell’Occidente per punirlo del suo appoggio allo stato ebraico. Tuttavia, il tentativo fallì per effetto dell’aumento delle estrazioni da parte dell’Iran, ancora in mano allo Shah, e alle elevate scorte di cui disponevano i paesi importatori. Ma sei anni più tardi, la musica cambiò. Un’altra guerra si verificò tra Israele e il mondo arabo, quella dello Yom Kippur. I sauditi quadruplicarono i prezzi del greggio, in accordo con gli alleati dell’OPEC. Stavolta, la mossa si mostrò vincente dal punto di vista di Riad: l’Occidente entrò in stagflazione per un lungo periodo, registrando bassa crescita o recessione dell’economia e alti tassi d’inflazione.
Nel frattempo, Yamani consolidava la leadership saudita dentro l’OPEC e quella del cartello sul mercato internazionale del greggio. Nello stesso periodo, poi, avvia la nazionalizzazione di Aramco (Arabian American Oil Company), la compagnia petrolifera del regno, fino agli anni Settanta in mano alle società americane. Lo stato entra nel capitale con una prima quota del 25%, salendo successivamente al 60% e fino ad arrivare al 100% nel 1980. Oggi, Aramco è la compagnia che estrae più petrolio al mondo e che fattura e macina utili di più nel settore.
L’anno nero di Yamani fu il 1975. Assistette a marzo all’assassinio di Re Faysal per mano del nipote e a dicembre venne preso in ostaggio per due giorni mentre si trovava a Vienna per partecipare a una riunione dell’OPEC. Il suo sequestratore fu il terrorista marxista e filo-palestinese “Carlos lo sciacallo”, che puntava ad ucciderlo per alzare l’attenzione mondiale sulla questione della Palestina.
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Ma Yamani non fu solo nemico degli interessi occidentali. Dopo che la Rivoluzione Islamica nel 1979 aveva spodestato lo Shah in Iran, facendo arrivare al potere l’ayatollah Khomeini, nemico dei sauditi sunniti e del “satana americano”, il mercato petrolifero subisce un altro forte shock. I prezzi esplodono nuovamente, ma Riad aumenta la propria produzione per minimizzare i contraccolpi a carico dei paesi occidentali, temendo anche che l’abbassamento della domanda che ne sarebbe seguito avrebbe danneggiato gli interessi economici dello stesso regno.
Il soccorso riuscì solo parzialmente. Negli anni seguenti, però, tra maggiore efficienza dei consumi e rallentamento dei tassi di crescita di Europa e USA, principali clienti del mercato, le quotazioni del petrolio ripiegano e Re Fahd chiede al suo ministro Yamani di intervenire. E così, l’uomo esegue gli ordini alla vecchia maniera, riducendo l’offerta a soli 2 milioni di barili al giorno, ai minimi da 20 anni. Tuttavia, gli alleati dell’OPEC non lo seguono, alzano la loro produzione e l’Arabia Saudita finisce per perdere quote di mercato, mentre le quotazioni crollano fin sotto i 10 dollari. Contrariato, il sovrano lo licenzia senza neppure avvisarlo, facendo annunciare l’esautoramento dalla TV.
Era il 1986 e si concludeva la brillante carriera politico-diplomatica di Yamani. Da allora, lo sceicco entrava nel dimenticatoio della storia.