Le pensioni dei giovani lavoratori di oggi rischiano di diventare un miraggio. Non è una novità, lo si sente ripetere spesso e ciò non incoraggia di certo i lavoratori a intravvedere o a sperare in un futuro migliore. Come, viceversa, succedeva ai loro predecessori. In assenza di interventi legislativi, quindi assisteremo a un impoverimento sociale crescente con le regole attuali.
Ma vediamo di inquadrare bene il problema cercando di capire come saranno le pensioni dei giovani lavoratori. O meglio di coloro che avranno una rendita interamente calcolata col sistema contributivo, cioè quel metodo di calcolo che si basa solo su quanto versato durante la carriera lavorativa.
Chi lavora poco rischia di andare in pensione più tardi
Le regole del pensionamento ordinario per chi ricade nel sistema contributivo sono diverse rispetto a chi ha iniziato a lavorare prima del 1996. Per costoro la pensione di vecchiaia matura a 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi, a patto che la rendita a calcolo non sia inferiore a 1,5 volte l’importo della pensione sociale (cioè 754,91 euro nel 2023).
Cifra che è comodamente raggiungibile oggi dalla maggior parte dei lavoratori. L’importo medio delle pensioni liquidate nel 2022 è stato di 1.134 euro, in tendenziale diminuzione. Ma come sarà fra qualche anno la situazione? Il problema è dettato più che altro dal fatto che il livello delle retribuzioni è basso e l’occupazione è spesso caratterizzata da lavori precari, a termine, part time, intervallati da Naspi e vuoti contributivi.
Mettendo insieme tutti i periodi di contribuzione, si rischia di arrivare all’età di 67 anni con un montante contributivo tale da non soddisfare nemmeno l’importo minimo pari a 1,5 volte quello dell’assegno sociale. Ragion per cui, il diritto alla pensione non è raggiunto.
In pensione a 71 anni
Con le regole attuali, quindi, un lavoratore che all’età di 67 anni matura il diritto alla pensione, non ci potrà andare se non soddisfa l’importo minimo richiesto.
La prima è quella di proseguire coi versamenti contributivi. Vuoi lavorando ancora, ma all’età di 67 anni diventa abbastanza faticoso e quasi insopportabile. Vuoi versando volontariamente i contributi mancanti a raggiungere la soglia minima di cui sopra. E non è detto che questo possa bastare per colmare l’ammanco di contributi. In ogni caso si andrà in pensione più tardi.
In assenza di azioni, l’unica possibilità è quella di attendere il compimento di 71 anni. A questo punto basteranno 5 anni di contributi e il limite di 1,5 volte l’importo della pensione sociale decade. Si potrà quindi uscire senza alcun vincolo, ma è del tutto evidente che il traguardo si allontana di parecchio.
Lavorare di più per andare in pensione più tardi
E’ palese che questo impianto normativo costringerà coloro che non hanno un lavoro “sicuro” o che comunque avranno alle spalle un buon montante contributivo, a dover lavorare più a lungo. Anche l’età della pensione a 67 anni sposterà in avanti col tempo essendo agganciata alla speranza di vita. E così anche la soglia dei 71 subirà un allontanamento.
Da considerare, poi, che il modello puramente contributivo è sostenibile solo se inserito in un mercato del lavoro basato su stabilità e crescita retributiva. Anche perché, se il livello di contribuzione non cresce, l’assegno sociale è rivalutato ogni anno in base all’inflazione. Di fatto, quindi, il gap si allarga col passare del tempo rendendo più difficile centrare i requisiti pensionistici.
Riassumendo…
- Per i lavoratori che ricadono nel sistema contributivo la pensione può essere un miraggio.
- Per uscire a 67 anni bisogna realizzare una rendita pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale.
- Chi non ha una carriere lavorativa piena e continua rischia di uscire a 71 anni.
- Basse retribuzioni non vanno bene con il sistema di calcolo contributivo puro.