Si parla tanto di riforma pensioni, di superamento della legge Fornero e di garanzie per i giovani. Ma a oggi nulla di concreto è stato fatto dopo la fine di quota 100.
I buoni propositi non mancano, ma la volontà del governo di affrontare il concreto il problema rischia di tramutarsi in un fiume di chiacchiere e vane promesse. Col rischio che dalle pensioni future scaturiscano nuove sacche di povertà.
Le prospettive dei giovani lavoratori
Così si è espressa la Cisl nel terzo congresso Fnp-Cisl pensionati svoltosi a Parma durante il quale il segretario Mimmo Di Matteo ha espresso vive preoccupazioni per il futuro dei giovani:
“Ci battiamo battendo perché sia stabilita una pensione di garanzia, una soglia minima per garantire ai futuri pensionati una possibilità di vivere in maniera dignitosa”.
Se il sistema pensionistico resterà così com’è – ha precisato Di Matteo – senza dubbio nasceranno nuove fasce di povertà da sostenere con la spesa sociale. Un problema al quale è assolutamente necessario e impellente porre rimedio.
Serve quindi una pensione di garanzia per tutti. Al pari del trattamento di integrazione minima che non esiste più nel sistema contributivo puro. Un assegno minimo vitale che garantisca una vita dignitosa al termine della carriera.
Quando e come andranno in pensione i giovani
Ricordiamo che le vie d’uscita dal lavoro per chi rientra nel sistema contributivo puro (fra una decina di anni), in assenza di correzioni, saranno quattro. Vediamole:
- a 64 anni con 20 di contributi (solo se si raggiunge il limite minimo di 2,8 volte l’assegno sociale);
- a 68-69 anni con 20 di contributi (solo se si raggiunge il limite minimo di 1,5 volte l’assegno sociale);
- a 73 anni con almeno 5 anni di contributi;
- anticipata con 44-45 anni di contributi indipendentemente dall’età (oggi siamo a 41-42 anni e 10 mesi).
Per tutti non esiste una integrazione al trattamento minimo.