di Roger Bootle – Dalla scorsa estate, la crisi dell’euro si è apparentemente fermata. Gli ottimisti hanno creduto che fosse stata finalmente messa a tacere.
I più cinici tra noi hanno pensato che questa bestia fosse semplicemente assopita. Per tutto il tempo, nonostante la stasi dei mercati, i problemi economici fondamentali su cui si basa la crisi non hanno visto nessun miglioramento.
E poi nelle scorse settimane la crisi è esplosa di nuovo. Il ministro delle finanze del Portogallo si è dimesso, citando, tra le altre cose, un declino del consenso alle politiche di austerità adottate dal governo in cambio del salvataggio.
Anche se il governo di coalizione probabilmente terrà, gli ultimi sviluppi hanno evidenziato una crescente opposizione alle politiche di austerità. Le probabilità che il governo possa durare fino alla fine del suo mandato (ottobre 2015) sembrano piuttosto scarse. Ancor più importante, questi eventi riducono le possibilità che il governo riesca con successo nel suo salvataggio.
Nel frattempo, è diventato chiaro che la Grecia è di nuovo nei guai. In realtà, di recente i numeri dell’economia sono migliorati. La riduzione del deficit di bilancio, sembra persino potersi realizzare un po’ prima del previsto.
Ma la troika (FMI, la BCE e la Commissione europea), ancora una volta, è sempre più preoccupata che la Grecia non riuscirà ad attuare le riforme da lei richieste. In particolare, che stia tornando indietro sui tagli in materia di occupazione del settore pubblico.
In più, il FMI ha espresso la preoccupazione che l’attuale salvataggio non potrà coprire interamente le esigenze di finanziamento della Grecia dei prossimi 12 mesi. A meno che questo buco non sia coperto, o dalla Grecia o dalla zona euro, il Fondo potrebbe anche sospendere i pagamenti del prestito.
Anche se la Grecia si inchina alle richieste della troika, la risicata maggioranza che sostiene il governo lascia ad intendere che esso potrebbe dover lottare strenuamente per attuare tali misure.
Ora, sia il Portogallo che la Grecia sono economie relativamente piccole. Anche se la loro situazione economica è disastrosa, è abbastanza facile immaginare qualche sorta di trucco che consenta loro di ottenere i loro soldi in qualche modo, rimandando così l’epilogo. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, controlla la situazione. Per lei, è della massima importanza evitare qualsiasi crisi fino a dopo le elezioni di settembre.
CRISI ECONOMICA ITALIA – Nel frattempo, gli altri paesi periferici rimangono in una difficile situazione. L’Italia è in una recessione profonda. Nel primo trimestre, il PIL era del 2.3% inferiore rispetto ad un anno prima e dell’8.7% al di sotto del suo picco del terzo trimestre 2007. E sembra che quest’anno l’economia si contrarrà ulteriormente.
Lo scorso anno, il deficit del bilancio pubblico era solo al 3% del PIL. Sulla base di previsioni del PIL, ottimistiche in modo fuorviante, il governo si aspetta che il deficit di quest’anno scenderà. Al contrario, io mi aspetto che salirà a circa il 4% del PIL. Per il 2015, il debito pubblico italiano sarà probabilmente superiore al 140% del PIL.
Certo, a poco più del 12%, il tasso di disoccupazione è basso rispetto agli standard delle altre economie periferiche. Ma, del resto, la contrazione del mercato del lavoro sembra che di recente si sia intensificata.
CRISI SPAGNA – La Spagna mostra qualche segno di miglioramento. Dall’inizio del 2010, le esportazioni sono aumentate del 18%, allo stesso ritmo delle esportazioni dalla Germania. Ma la disoccupazione è quasi al 27%. Inoltre, il debito pubblico, lo scorso anno all’84% del PIL, sembra destinato a salire sopra il 100% per la fine del 2014. Ulteriori cali della domanda interna sembrano probabili, e anche i crediti inesigibili delle banche sembrano destinati a salire.
L’Irlanda, il ragazzo prodigio dell’austerità della zona euro, ha recentemente subito una sorta di ricaduta.
Questo suggerisce che l’apparente miglioramento dell’Irlanda in competitività – il costo unitario del lavoro dell’intera economia è del 16% al di sotto del suo picco massimo – o non è stato reale, oppure i benefici sono stati erosi da un rallentamento della domanda nei suoi principali mercati di esportazione. Il tasso di disoccupazione è ancora sopra il 13%. Oltretutto, con il deficit di bilancio oltre il 7% del PIL, c’è da aspettarsi ancora più austerità.
Anche se ci sono stati miglioramenti in alcuni dei paesi periferici, il più eclatante sviluppo recente è stato il deterioramento della Francia, che è ufficialmente rientratain recessione dopo 18 mesi di stagnazione. Inoltre, ha recentemente perso una buona dose di competitività, non solo contro la Germania, ma anche nei confronti dei paesi periferici. E il perdurante edelevato deficit di bilancio implica la necessità di una maggiore austerità.
Quello a cui stiamo assistendo in tutta la zona euro è la riaffermazione dell’economia sull’euro-politica e il potere dei fondamentali sull’abile trovata di Draghi delle cosiddette operazioni monetarie definitive (OMTS).
Una volta un burlone ha scherzato sul fatto che c’erano solo tre cose che davvero bisognava ricordare del Sacro Romano Impero: che non era Santo, non era romano e che non era un impero. Allo stesso modo, le OMT non sono a titolo definitivo, non sono monetarie e non sono operazioni.
Draghi non ha comprato un singolo titoli nell’ambito del programma OMT.
Inoltre, per come l’OMT è attualmente impostato, la BCE non è in grado di acquistare i bond di Spagna e Italia, i due più grandi paesi periferici, che potrebbero rappresentare il più grande problema per la zona euro, perché una condizione del programma è che, per poterne beneficiare, un paese deve essere entrato in un programma di bail-out, soggetto a stretti vincoli e a una supervisione del bilancio dall’esterno.
Non può nemmeno comprare obbligazioni greche, e probabilmente nemmeno le obbligazioni irlandesi o portoghesi, perché attualmente questi paesi non sono in grado di collocare i loro titoli sui mercati – una ulteriore condizione per l’uso delle OMT. Nel frattempo, i limiti politici interni alla austerità stanno diventando evidenti. Gli elettori dei paesi stretti nella morsa dell’austerità sono vicini al punto di rottura. Sebbene drammatici sviluppi restino possibili, sarebbe sbagliato aspettarseli: è più probabile che si vada avanti con trucchi e mistificazioni. Senza dubbio la saga deve ancora svolgersi in diversi atti. Ma chi pensa che la crisi dell’euro è finita deve attendersi un brusco risveglio.
Roger Bootle è uno dei maggiori economisti della City, amministratore delegato di Capital Economics, e vincitore del Wolfson economics prize del 2012
Articolo originale: We can’t wave goodbye to the euro crisis just yet