Chi sono gli oligarchi russi, quanto sono ricchi e il caso Abramovich

La "guerra" contro gli oligarchi russi sta facendo emergere ricchezze immense, che l'Occidente finge di scoprire solamente adesso
3 anni fa
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Chi sono gli oligarchi russi

“Insieme agli alleati europei, troveremo e sequestreremo i vostri yatch, gli appartamenti di lusso e i jet privati”. E’ la dichiarazione di guerra lanciata dal presidente americano Joe Biden agli oligarchi russi accusati di essere conniventi con il Cremlino. USA e Unione Europea hanno stilato una lista a fine febbraio, nella quale hanno inserito i nomi di diversi miliardari da colpire attraverso il sequestro delle relative ricchezze all’estero.

Oligarca è un termine di origine greca che si può tradurre letteralmente come “potere di pochi”.

In Russia, sono nati agli inizi degli anni Novanta dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Siamo nell’era di Boris Eltsin, il presidente che voleva transitare il suo paese nella modernità e in un’economia di mercato. In questo periodo, tutte le industrie di stato sono privatizzate, ma alla maniera russa, cioè attraverso svendite a prezzi spesso ridicoli, andate a finire nelle mani di un gruppo di personalità spregiudicate e quasi sempre colluse con il potere politico.

Gli oligarchi s’impossessarono velocemente di immense ricchezze e altrettante ne avrebbero costruite negli anni immediatamente seguenti attraverso lo schema “prestito contro azioni”: lo stato aveva bisogno di soldi ed essi glielo prestarono ad alti interessi, facendosi consegnare in cambio le azioni di imprese pubbliche. Nei fatti, in breve tempo finirono per comandare la Russia al posto del Cremlino e della Duma. Si trattò di un club di meno di un centinaio di persone, anche se coloro che fanno parte dell’oligarchia russa sarebbero un paio di migliaia.

Oligarchi russi sotto Putin

Con l’avvento di Vladimir Putin alla presidenza nel 2000, il potere degli oligarchi rimase intatto, ma diventò semplicemente più discreto. Non sfoggiarono più il potere come negli anni di Eltsin, ma di fatto lo detengono oggi come allora. Una ricerca della US National Economic Research Bureau del 2017 trovò che la ricchezza detenuta dagli oligarchi russi all’estero ammontasse a 800 miliardi di dollari nel 2015.

Secondo Atlantic Council, essa si attesterebbe intorno ai 1.000 miliardi.

I dati variano molto tra di loro, anche perché gli oligarchi schermano le loro immense fortune all’estero grazie a prestanome e società con sede nei paradisi fiscali. Alcuni calcoli sono effettuati attraverso la differenza tra le esportazioni nette e la posizione finanziaria netta della Russia. Essa individuerebbe la fuga dei capitali, cioè il denaro esportato all’estero. Praticamente, i russi deterrebbero il 60% della loro ricchezza fuori dai confini nazionali.

Tra gli oligarchi più ricchi abbiamo: Alexei Mordshov, a capo dell’acciaieria Severstal; il re dell’alluminio Oleg Deripaska e il proprietario del Chelsea, Roman Abramovich. I primi due sono accreditati di qualcosa come 25-30 miliardi di dollari di ricchezza ciascuno, mentre per il Bloomberg Billionaire Index il terzo controllerebbe un impero di 13,6 miliardi.

La guerra economica agli oligarchi

Perché la guerra agli oligarchi? Nelle intenzioni dei governi occidentali, si tratta di una potentissima arma di pressione contro Putin. Poiché i ricchi in Russia co-decidono tutto insieme al Cremlino, quando si vedranno privati dei loro averi inizieranno a puntare i piedi e pretendere un cambio di rotta da Putin. Nello scenario migliore per l’Occidente, arriverebbero anche a rovesciare la presidenza. L’Italia ha sequestrato asset per 143 milioni di euro solamente nei primi tre giorni di applicazione delle sanzioni, tra cui un super-yatch lungo 65 metri, che si ritiene appartenere a Murdashov, fermo al porto di Imperia e stimato in 27 milioni di dollari. Un altro yatch è stato sequestrato a Sanremo, lungo 40 metri e appartenente a Gennady Timschenko, altro oligarca vicino a Putin.

A parte questi blitz, “congelare” i beni degli oligarchi appare un’impresa. In Svizzera, ad esempio, ne risultano per soli 11 miliardi. Il resto è intestato a terzi, spesso anche familiari, nonché a società non facilmente riconducibili a loro.

Il caso di Abramovich è particolare. L’uomo non era ancora stato iscritto nella lista delle sanzioni fino a ieri mattina, sebbene su di lui vi pendessero già indagini per accertarne i legami con il Cremlino. Tuttavia, forse anche per evitare il peggio, nei giorni scorsi aveva annunciato di vendere il Chelsea e donare in beneficenza a favore dei profughi ucraini il ricavato netto della vendita.

Il Chelsea ha chiuso l’ultimo bilancio con ricavi per 435 milioni di sterline, circa 522 milioni di euro al cambio attuale. Poiché i club di calcio in Europa tendono ad essere valutati tra 3 e 5 volte, la vendita (per il momento, “congelata”) potrebbe avvenire per 2 miliardi di euro. Abramovich aveva rilevato il club nel 2003 per 150 milioni di sterline, circa 180 milioni di euro. Pertanto, la plusvalenza potrebbe ammontare anche a 1,7-8 miliardi. Sarà il prezzo da pagare per garantirsi un lasciapassare in Occidente? E, soprattutto, i governi europei, in particolare, si sono accorti solo adesso della presenza nei loro paesi di capitali russi “filo-putiniani”? Da anni, Malta e Cipro fungono da paradisi fiscali proprio per gli oligarchi, i quali hanno Londra quale meta finanziaria ambita e città in cui spesso mettere a frutto denaro grazie agli investimenti immobiliari. Ad un tratto, si chiude loro la porta e si congelano conti bancari e beni, fingendo di cadere dalle nuvole. Ipocrisia di un Occidente in cerca di una catarsi per esibire una superiorità morale di comodo.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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