L’emergenza Coronavirus ha costretto la gran parte dei governi dell’Occidente a disporre la chiusura di quasi tutte le attività commerciali e produttive, al fine di minimizzare i casi di contagio. Forse, non era mai accaduto che contemporaneamente l’intero pianeta si trovasse colpito da uno shock dell’offerta, con la produzione mondiale ad implodere piuttosto simultaneamente e per ragioni extra-economiche. Interessante il paragone con i periodi bellici, che effettivamente presentano alcune similitudini. L’ultima guerra che l’Italia ha conosciuto sul proprio territorio è stata la seconda mondiale combattuta tra il 1940 e il 1945.
L’inflazione in Italia si è azzerata, ma sarà dopo Pasqua che vedremo i prezzi reali
Alla Germania andò molto peggio, perché gli Alleati bombardarono a tappeto il territorio del Reich. Basti pensare al dramma di Dresda. L’inflazione nel nostro Paese esplose a 3 cifre, anche a causa delle emissioni di Am lire, la moneta delle truppe di occupazione anglo-americane, le quali abolirono il corso forzoso della lira. La situazione si normalizzò dopo la fine della guerra, quando effettivamente i tassi d’inflazione italiani decrebbero con rapidità. Cos’era accaduto? Gli uomini tornarono a lavorare in fabbrica e a svolgere i loro mestieri, la produzione industriale tornò a crescere celermente, anche perché il potenziale intaccato era stato fortunatamente contenuto, e la maggiore offerta di beni e servizi stabilizzò i prezzi.
Perché il confronto con quell’esperienza, per quanto drammaticamente affascinante, regge fino a un certo punto? Come allora, siamo in presenza di un crollo della produzione per un fattore esogeno. Per fortuna, però, ora non vi è in corso distruzione di capitale fisico o umano, a parte i morti tra i contagiati in età lavorativa, una percentuale comunque risibile rispetto al totale della popolazione.
Probabile una lieve deflazione?
Esistono due eccezioni a questa tendenza. La prima è rappresentata da quelle attività che, a causa del sostenimento degli elevati costi fissi durante il lockdown, non saranno più capaci di riaprire. Dobbiamo mettere in conto, cioè, che una percentuale – si spera minima – di negozi, uffici e imprese non ce la faccia a riprendersi e chiuda. Si pensi a un ristorante, un bar, un pub, che devono pagare gli stipendi ai dipendenti, l’affitto ai proprietari degli immobili, la luce, il gas, l’acqua, etc. La seconda è data da quei comparti, che risulteranno i più colpiti dalla crisi, per ragioni intrinseche. Parliamo essenzialmente del mondo del turismo: alberghi, ristoranti, lidi, compagnie aeree, agenzie di viaggio, agenzie di escursioni, etc. Probabile che i flussi turistici rimangano in agghiaccio per la gran parte di quest’anno. Chi vorrà spostarsi a lungo raggio, recandosi persino all’estero, temendo di dover ricorrere alle cure sanitarie per il malaugurato caso di contagio?
Benvenuta deflazione nell’era del petrolio a 25 dollari
Dunque, come nel periodo post-bellico, pur in misura di gran lunga inferiore, probabile che parte del potenziale produttivo venga danneggiato permanentemente dal lockdown. E più esso dura, maggiore la percentuale di attività che non riaprirà più battenti. Ma sarà sufficiente a provocare alta inflazione? E perché nel corso di questa quarantena i prezzi non stanno esplodendo come in guerra? Semplice. A differenza di allora, non avremmo come spendere i nostri soldi, essendo impossibile uscire e muoverci.
Difficile, però, che con la riapertura graduale delle attività, i prezzi esplodano. Al contrario, i consumatori si ritroveranno stressati finanziariamente dal fermo di settimane senza lavoro e imprese e negozianti avranno, al contrario, la necessità di svuotare subito il magazzino per fatturare e incassare liquidità con cui effettuare i pagamenti, compresi gli arretrati. Verrebbe da pensare che vi siano le condizioni ideali per una temporanea deflazione, pur scontando che non tutti i beni e servizi saranno prontamente disponibili come prima per le ragioni sopra spiegate.
Rischio inflazione concreto
Detto ciò, il rischio d’inflazione esiste, in Italia come all’estero. L’inflazione è un fenomeno monetario, provocato da un eccesso di moneta in circolazione rispetto al pil, cioè alla produzione di beni e servizi. E questo eccesso rischia di crearsi con i pacchetti fiscali di stimolo all’economia che i governi stanno varando per evitare che la crisi si trasformi in depressione. Ora, immaginatevi per semplicità di ragionamento che tutti gli italiani ricevano un assegno da 1.000 euro da poter spendere a piacimento. Non appena potranno tornare ad uscire, molti si precipiteranno nei negozi per comprare quello che ritengono essere loro necessario, altri ne approfitteranno per regalarsi una qualche soddisfazione dopo mesi di austerità forzata e di clima da panico collettivo. Qualcuno per prudenza risparmierà la cifra in tutto o in parte.
Fatto sta che, a fronte di una produzione non ancora normalizzatasi, la domanda s’impennerebbe per via dell’alta liquidità e i prezzi schizzerebbero, tanto più se la domanda venisse sostenuta da elevati deficit finanziati da capitali esterni, cioè senza che si registri il contestuale drenaggio di liquidità sul mercato domestico. Nel caso dell’Italia, dove le risorse effettive stanziate dal governo si mostrano relativamente contenute, il rischio esiste fino a un certo punto, mentre in altre economie, dove gli stimoli fiscali varati si presentano ben più generosi, come USA, Germania e Regno Unito, il rischio di un’inflazione potenzialmente fuori controllo vi è tutto.