Nessuna novità eclatante dalla riunione del FOMC, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve. Ieri, l’annuncio di un terzo rialzo dei tassi FED dello 0,75% al nuovo range del 3,75-4%, il più alto dal 2008. I mercati aveva scontato la decisione, per cui non hanno reagito in alcuna direzione. Tuttavia, un paio di elementi di dibattito sono emersi con il comunicato ufficiale e la conferenza stampa del governatore Jerome Powell. In primis, egli ha confermato che la stretta non è cessata.
Stamattina, il rendimento del T-bond a 10 anni rimaneva in area 4,05%. E il dollaro si apprezzava nettamente contro le altre valute di una media dell’1,40%. E’ il segno che i mercati si attenderebbero un accrescimento della divergenza monetaria con Europa e Asia.
Tassi FED fin sopra 5%, spread su
Stando ai contratti derivati di CME Group, il mercato nutre forti dubbi sull’entità del rialzo dei tassi FED a dicembre. C’è una leggera prevalenza per un aumento dello 0,50%, ma resta fortissima l’ipotesi del +0,75%. L’apice dovrebbe essere toccato al 5,25%, sebbene non si esclude il 5,50%. A seguito di queste previsioni, lo spread tra BTp e Bund è salito in area 220 punti base con il rendimento decennale sopra il 4,40%. Era sceso fino sotto il 4% dopo il board BCE di giovedì scorso, con lo spread a 200 punti.
Più i tassi FED salgono e più sale il rischio sovrano percepito per l’Italia. A causa del suo elevato rapporto tra debito pubblico e PIL, il nostro Paese è considerato vulnerabile alla stretta monetaria globale. E poiché a batterne tempi e ritmi è sempre l’America, le parole di Powell hanno tradito forse l’intenzione della prima banca centrale del pianeta di combattere l’inflazione costi quel che costi.