La Banca Popolare Cinese ha annunciato oggi di avere sospeso gli acquisti di bond e che li riprenderà “al momento opportuno, in considerazione della domanda e dell’offerta sul mercato sovrano”. La mossa sarebbe stata decisa dall’istituto per offrire sostegno allo yuan, il cui tasso di cambio contro il dollaro è scivolato ai minimi da 16 mesi a 7,33. Perde il 4,4% da fine settembre, quando il cambio aveva toccato un minimo di 7,01. A seguito della decisione, i rendimenti sovrani sono risaliti lungo la curva: +0,08% per la scadenza a 5 anni, +0,04% per quella a 10 anni e +0,05% per il trentennale.
Pechino teme fuga dei capitali
Gli analisti stimano che la Banca Popolare Cinese dovrebbe – ma a questo punto dovremmo dire avrebbe dovuto – acquistare quest’anno bond governativi per 3.000 miliardi di yuan, circa 409 miliardi di dollari, al fine di iniettare liquidità sul mercato e sostenere la crescita economica. Tuttavia, Pechino sta notando come i rendimenti stiano risalendo presso gli altri principali mercati, Nord America ed Europa in testa. Un disallineamento tra i bond cinesi e quelli delle altre grandi economie accelererebbe la fuga dei capitali e metterebbe ulteriore pressione sul cambio.
Timori in Cina per sindrome giapponese
Si è speculato in questi mesi che la Cina persegua appositamente uno yuan più debole, al fine di neutralizzare almeno in parte la minaccia dei dazi del presidente eletto Donald Trump. Tuttavia, la sua banca centrale ha segnalato di recente l’esatto contrario, fissando il tasso di cambio iniziale giornaliero a livelli più forti di quelli del mercato. Il presidente Xi Jinping sarebbe contrario all’indebolimento, in quanto punterebbe a rendere lo yuan una valuta stabile e di riferimento credibile per l’Asia.
La mossa della Banca Popolare Cinese non avrebbe a che vedere soltanto con lo yuan.
Yuan arma negoziale di Xi con Trump
Infine, l’intervento a sostegno indiretto dello yuan può essere considerato un ramoscello di ulivo porto da Pechino a Trump alla vigilia dell’inaugurazione. Un segnale che la Cina non intenda scatenare una guerra valutaria e cerchi il dialogo per risolvere le divergenze commerciali. Del resto non possiamo affermare che i movimenti attorno allo yuan siano diretta conseguenza della volontà di Pechino. Euro e sterlina in questi mesi hanno fatto di peggio contro il dollaro. Il deprezzamento è legato alle aspettative del mercato, oltre che ai fondamentali macro. Ciò non toglie che Xi possa evocare l’arma della svalutazione nel caso in cui le trattative con Trump andassero male. Con un’inflazione interna azzerata, può permettersi di manovrare il cambio per un po’.