La Cina di Xi ha tenuto il suo anti-G7 nell’Asia Centrale per battere l’Occidente sul suo punto debole

E' stato un vertice anti-G7 e si è tenuto in Cina per volere di Xi, leader globale sempre più temibile per l'Occidente.
2 anni fa
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La Cina di Xi vuole prendersi l'Asia

Il G7 di Hiroshima ha ribadito l’unità dell’Occidente contro la Russia e, per estensione, la Cina di Xi Jinping. L’accoglienza calorosa riservata al leader ucraino Volodymyr Zelensky è stato un avvertimento esplicito delle sette potenze mondiali (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone). Solo che sul piano concreto i capi di stato e di governo non hanno deciso quasi nulla. E le schermaglie verbali e facciali a beneficio di telecamera tra Justin Trudeau e Giorgia Meloni si sarebbero dovute evitare come la peste.

Evidentemente il premier canadese ritiene che quattro like sui social valgano più dell’interesse (inter)nazionale a preservare la massima unità, anche d’immagine, contro un mondo a noi ostile che avanza. Del resto è questa la disgrazia dell’Occidente, confondere la realtà mediatica con la direzione che ogni giorno di più sta prendendo la storia.

Terre rare oggetto di scontro tra Occidente e Pechino

Prima ancora che il G7 iniziasse venerdì, il presidente cinese Xi radunava cinque leader dell’Asia Centrale a Xi’an, nella provincia di Shaanxi. Parliamo di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan. Sono i famosi paesi “stan” dell’Asia Centrale, tutte ex repubbliche sovietiche in cerca di autore. Queste realtà sono da qualche anno sotto crescente pressione da Pechino, affinché scelgano da quale parte stare. E il forum a cui hanno preso parte il 18-19 maggio scorsi si chiama “summit C+C5”, dove la prima C sta per Cina e la seconda per “Centrale”, riferita all’Asia.

Ai più in Occidente questi paesi non dicono nulla, semmai qualcuno sarà andato in vacanza in qualcuno di questi. Sono una grossa realtà-cuscinetto tra Occidente ed Oriente e, soprattutto, abbondano di materie prime. Non a caso gli occhi di Xi sono rivolti particolarmente al Kazakistan, con cui Pechino ha sottoscritto numerosi accordi per il trasferimento di progetti industriali.

Questo sterminato paese grande circa nove volte l’Italia e con una popolazione di appena 19 milioni di abitanti (meno di un terzo della nostra) detiene nel sottosuolo 30 miliardi di barili di petrolio, il 12% di riserve di uranio nel mondo e 2.500 miliardi di metri cubi di gas.

Tanto per fare chiarezza sull’importanza di queste cifre, Astana sarebbe in grado di rifornire di greggio l’intero pianeta per una decina di mesi e di gas l’Unione Europea per oltre sei anni. L’uranio, poi, non solo è fondamentale per la produzione di energia nucleare (anche a scopi bellici); da esso si possono ricavare le terre rare. Queste sono diciassette elementi della tavola periodica concentrati in pochissime aree del pianeta, tant’è che la Cina incide per il 90% dell’offerta globale. Poiché l’Occidente sta apertamente cercando di allentare la dipendenza da Russia e Cina, valuta nuove vie. Una di queste sarebbe di rivolgersi proprio al Kazakistan.

La Cina di Xi si prende l’Asia Centrale

Ed ecco l’idea “geniale” di Xi: battere l’Occidente sul tempo e attirare a sé anche l’unico possibile concorrente per la produzione di terre rare. Questi elementi trovano crescente applicazione nell’elettronica di consumo, così come anche in campo militare, aeronautico, per la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e batterie di auto elettriche. In altre parole, senza terre rare tanti cari saluti alla transizione energetica. Perché è vero che l’Occidente possiede le conoscenze, ma senza le materie prime restano teoriche.

Il G7 di Hiroshima è stato un appuntamento gestito non alla meglio dai leader. Non ha partorito alcuna idea concreta, al di là del sostegno anche militare a Kiev. Xi è stato molto meno scenico, ma molto più concreto. Vuole espandere il potere cinese sull’intera Asia Centrale.

Non vuole presenze sgradite nel suo cortile di casa. Soprattutto, si prepara a giocare duro. Non a caso ha inviato un segnale immediatamente dopo la fine del G7: i chip dell’americana Micron sono stati banditi per ragioni di sicurezza. La guerra tecnologica è di fatto iniziata. Taiwan è al centro di questo conflitto, che può benissimo degenerare in un confronto (indiretto) militare. Nel frattempo tra governi dello stesso fronte occidentale si litiga a mezzo stampa su diritti Lgbtq+, su chi sia più misericordioso con i migranti e tante altre assurde ipocrisie. Se questo è l’antipasto, faremo prima a trattare la resa con Xi.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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