Soltanto nel 2013, Cipro era diventato il quarto stato dell’Eurozona ad avere bisogno di un salvataggio della Troika (UE, BCE e FMI), essendo stata l’isola travolta dalla crisi finanziaria esplosa in gran parte dell’area. Contrariamente a quanto era avvenuto in Grecia, Irlanda e Portogallo, qui si diede vita al primo “bail-in” della storia europea, che non a caso prese allora il nome di “modello Cipro”. Esso consistette nel gravare di parte delle perdite delle banche da mettere in sicurezza gli stessi investitori, obbligazionisti e correntisti titolari di depositi superiori ai 100.000 euro.
Tra Cipro e Russia c’è un legame storico, che negli ultimi anni si è semplicemente rafforzato, anche dopo l’esproprio subito da svariati ricconi del paese di Vladimir Putin. Il governo di Nicosia, infatti, non solo non ha voluto rescindere il legame con Mosca, ma lo ha rinnovato, introducendo un nuovo sistema per l’ottenimento veloce del passaporto cipriota. (Leggi anche: Fuga di capitali dalla Russia, Putin adotta modello Cipro?)
Passaporto facile per un migliaio di russi ricchi
In meno di sei mesi, potrai diventare un cittadino dell’isola mediterranea, a patto che investi qui almeno 2 milioni di euro in proprietà immobiliari o 2,5 milioni di euro in obbligazioni societarie o titoli di stato locali. Da quando la nuova legislazione per il passaporto facile è stata introdotta dopo la crisi del 2012-2013, 2.000 stranieri hanno voluto diventare cittadini di Cipro, versando alle casse dell’isola 4 miliardi di euro. Non male per un’economia con un pil di 17 miliardi. Metà dei neo-ciprioti a colpi di denaro è di origine russa.
Nel 2015, Nicosia ha concesso la cittadinanza a 3.322 stranieri, di cui il 34,3% russi. Non tutti chiaramente pagano per diventare ciprioti, continua ad esistere l’iter ordinario per ottenere il passaporto, ma il sistema escogitato dal governo locale per fare cassa e attirare investitori facoltosi appare avere successo, così tanto da destare preoccupazioni nella UE, dove già nel 2014 l’Europarlamento votò una mozione non vincolante, in cui definiva il passaporto di uno degli stati membri “un bene non commerciabile”, ovvero non alla mercé del denaro.