La stragrande maggioranza dei mutui a tasso variabile sono agganciati all’Euribor a 1, 3 e 6 mesi, mentre una minima parte ai tassi BCE. Con il varo del “quantitative easing” della BCE, sul mercato i tassi sono scesi fin sotto zero per le scadenze più brevi e venerdì scorso si attestavano al -0,36% per l’Euribor a 1 mese, al -0,26% per quelli a 3 mesi e al -0,16% per quelli a 6 mesi. In teoria, ciò dovrebbe spingere il tasso applicato dalla banca al mutuo sotto il livello dello spread.
Facciamo un esempio: una banca applica uno spread del 2% su un mutuo a tasso variabile agganciato all’Euribor a 3 mesi. Ipotizziamo che quest’ultimo fosse pari allo 0,3% al momento della stipula del contratto. Ciò significa che il cliente dovrà pagare sul mutuo ottenuto un interesse iniziale del 2,3%, ovvero dello 0,3% dell’Euribor + lo spread del 2%.
Tassi pavimentati, fregatura per i clienti
Se l’Euribor a 3 mesi scende al -0,26% attuale, la banca dovrebbe applicare al mutuo un interesse pari al 2% – 0,26%, cioè dell’1,74%. Invece, in moltissimi casi si limitano a fare pagare al cliente un tasso pari allo spread, sostanzialmente fissando un tasso minimo o “floor” pari a zero. In altre parole, non scendono sotto lo zero percento, come se i tassi fossero “pavimentati” al ribasso.
Dopo mesi di pressioni da parte delle associazioni dei consumatori, nel febbraio scorso la Banca d’Italia ha emanato una circolare, con la quale ha avvertito le banche di non dare seguito ad alcuna clausola sul tasso minimo, se questa non sia stata inserita nel contratto.