Il divorzio fa perdere il diritto all’uso del cognome del marito. Come noto, con il matrimonio la moglie può acquisire il cognome del marito, soprattutto se si tratta di un cognome importante e noto nella società cosicché possa essere sbandierato ovunque per acquisire notorietà e fama. Nulla è previsto, però, in caso di divorzio.
La legge disciplina, all’art. 143 bis del codice civile, che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”.
Col divorzio, fine del doppio cognome
Tuttavia, molte donne e famiglie italiane ci tengono ancora alle vecchie regole e a mantenere il doppio cognome, anche per via dei figli. Per legge, come detto, non si impone nulla ma per dirla con le parole della Cassazione l’acquisizione del nome del marito “si applica ai rapporti sociali”. Che vuol dire? Che la “signorina Bianchi” (da nubile), quando andrà dal salumiere verrà chiamata “signora Rossi” (da coniugata), o potrà pretenderlo, così come a teatro, al cinema, a cena, ecc. Cosa che però non può continuare in caso di divorzio. Sul punto è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione (ordinanza 3454 del 2020) facendo chiarezza sulla questione del doppio cognome in caso di scioglimento del rapporto coniugale. Ebbene, per i supremi giudici, con la sentenza di divorzio la moglie perde il doppio cognome e pertanto il diritto a usufruirne pubblicamente per darsi importanza o per vedersi riconosciuta un’alea di notorietà che non esiste più. La Corte di Cassazione è giunta a tale decisione esaminando il ricorso proposto da una donna che non voleva in nessun modo rinunciare all’utilizzo del cognome del ex marito, anche dopo la fine del rapporto coniugale.
Doppio cognome, una pratica in disuso da anni
In Italia sono sempre meno le famiglie che fanno uso dei doppi cognomi, ma in passato, almeno fino agli anni ’90 la pratica era di uso frequente. Le riforme del diritto di famiglia e l’acquisizione della parità dei diritti, oltre al fatto che ci si sposa sempre meno, ha trasformato questa usanza, un tempo prediletta da nobili e aristocratici. Oggi, ad esempio, quando una persona si sposa in tutte le registrazioni e atti amministrativi la donna italiana coniugata è indicata con il proprio cognome. Sulla carta di identità e sul passaporto compaiono solo il proprio nome e cognome, così come sui documenti principali in possesso della pubblica amministrazione mantiene unicamente il proprio cognome. L’indicazione del matrimonio appare abbreviata, sui documenti di identità, solo se sia lei stessa a richiederlo, ma occorre anche il consenso del marito davanti all’ufficiale civile presso l’anagrafe.