In vista della ripresa del dibattito parlamentare sulla riforma pensioni nel 2022, si stringono le alternative per il dopo quota 100. Le ultime indiscrezioni riportano di un potenziamento delle opzioni già esistenti.
Non ci sarà quindi una soluzione nuova che sostituirà quota 100 dal 1 gennaio 2022, ma la revisione di opzioni già in essere. Il nodo cruciale sarà quello di impedire uno scalone di 5 anni con le regole della Fornero.
Ape Sociale allargata
Come mantenere la possibilità di andare in pensione nel 2022 a 62 o 63 anni? Bocciata quota 41 perché costerebbe troppo, si sta lavorando su altri fronti.
L’intenzione – come suggerito dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico – è quella di utilizzare uno strumento pensionistico che già esiste e riservato a talune categorie di lavoratori svantaggiati, senza stravolgere l’impianto dell’ordinamento pensionistico esistente.
Quindi, per quanto riguarda Ape sociale, si punta a prorogarla allargandola alla categoria dei lavoratori gravosi e usuranti e magari anche a qualcun altro.
Al momento, Ape Sociale, introdotta in via sperimentale dal primo governo Conte, consente ai lavoratori in difficoltà sociale di lasciare il lavoro a 63 anni possedendo determinati requisiti. Paletti molto stretti che sono dati dal possesso di almeno 30 anni di contributi e:
- essere in stato di disoccupazione;
- assistere da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente (genitori o figli) con handicap in situazione di gravità:
- essere riconosciuto invalido civile almeno al 74%;
- svolgere da almeno 6 anni in via continuativa una o più delle attività gravose previste dalla legge (in questo caso servono 36 anni di contributi).
Le altre due strade per andare in pensione prima
Le altre due riforme in cantiere sono la proroga di opzione donna, magari a 59 anni (60 per le autonome), e la pensione di flessibilità a partire da 63 anni. Questa ultima sarebbe la grande novità.
Secondo l’Inps, si tratterebbe di una forma di pensionamento anticipato in due parti. La prima sarebbe liquidata al raggiungimento dei 63 anni di età, ma solo per i versamenti nel sistema contributivo, quindi dal 1996 in poi. La seconda parte, al compimento dei 67 anni con i versamenti effettuati nel sistema retributivo, ante 1996.
Questa soluzione penalizzerebbe solo inizialmente i lavoratori ma troverebbe un giusto equilibrio finanziario per i prossimi anni. Sarebbe conservata al contempo la possibilità di lasciare il lavoro 4 anni prima.