Mario Draghi ha concluso il mandato, anche se l’insediamento di Christine Lagarde dovrà attendere formalmente ancora qualche giorno. Il suo non è stato un ottennato qualsiasi e, infatti, non si sta concludendo come vorrebbe il solito copione di baci e abbracci. Anzi, mai la BCE era stata così divisa al suo interno su come procedere in politica monetaria nei prossimi mesi. Bella gatta da pelare per il mercato obbligazionario, perché una cosa sarebbe che la francese proseguisse sulla strada dell’italiano, un’altra che fosse costretta a deviare, magari dopo una primissima fase all’insegna della sostanziale continuità più per una questione formale che sostanziale.
Quando Draghi prese le redini della BCE nel novembre del 2011, l’Eurozona bruciava e il fumo si levava alto nel panorama finanziario, provenendo particolarmente da Italia e Spagna, i due paesi colpiti dalla crisi dello spread dopo i salvataggi pubblici internazionali di Grecia, Irlanda e Portogallo. L’ex Bankitalia risolse gradualmente il problema con maxi-iniezioni di liquidità alle banche a bassissimo costo e a medio-lunga scadenza e, successivamente, con il varo di stimoli monetari a tutto campo.
A seguito di queste misure, gli spread sovrani sono rientrati per la minore percezione del rischio sui mercati, un fatto che ha giovato anche all’obbligazionario corporate, compreso quello “high yield”, seppure ultimamente più per la fame di rendimento tra gli investitori che non per l’effettivo ottimismo verso le condizioni finanziarie delle imprese e delle economie nell’area. Cosa accadrà d’ora in avanti? A chiederselo sono per primi proprio i mercati. Quasi scontato che Lagarde si mostrerà coerente con le ultime azioni del suo predecessore, almeno per fornire l’immagine di una banca centrale ordinata, credibile e non erratica.
Draghi poteva alzare i tassi e ora lascia una BCE divisa e disarmata contro la crisi
Cosa accadrà sotto Christine?
Nessuno scossone dovrebbe attendere il mercato dei bond per i primi mesi del nuovo mandato.
In poche parole, i rendimenti dei BTp salirebbero più velocemente di quelli tedeschi e degli altri stati. Lo stesso dicasi verosimilmente per i rendimenti corporate “high yield” rispetto a quelli “investment grade” e un po’ per tutta l’area. Certo, se il rialzo dei tassi fosse conseguenza del miglioramento deciso delle condizioni macro, almeno parte di queste previsioni sarebbe sconfessata, più sul fronte corporate, dato che riteniamo assai improbabile che la crescita del pil e la discesa del rapporto debito/pil in Italia accelerino significativamente nei prossimi mesi. Infine, se Lagarde dovesse continuare a mantenere elevato il grado di accomodamento monetario, rinviando ancora una volta il rialzo dei tassi, il rally obbligazionario sovrano e corporate nell’area avrebbe pure modo di proseguire.
L’ipotesi più probabile, tuttavia, sarebbe la seguente: la BCE, su pressione della Germania e dei suoi alleati nel board, a un certo punto nel 2020 inizierà ad alzare i tassi – ripetiamo, salvo brutte sorprese dall’economia – ma segnalerà al contempo che lo farà in misura molto graduale e senza un percorso precostituito, così da rassicurare i mercati sulla compatibilità tra la stretta e l’abbondante liquidità disponibile ancora a lungo.
Ecco come la BCE dopo Draghi alzerà i tassi più in fretta