Dopo Silicon Valley Bank (SVB), anche Signature è fallita. La banca era nota per concedere prestiti alle società attive sul mercato delle criptovalute. Nel frattempo la controllata britannica SVB UK è stata venduta nel Regno Unito a HSBC per una sterlina. Ma il governo degli Stati Uniti non è stato ad aspettare con le mani in mano e prima che arrivasse il lunedì ha varato un piano di salvataggio delle banche americane insieme alla Federal Reserve. Tale piano punta a scongiurare il rischio di contagio, che si avrebbe nel caso in cui i risparmiatori corressero a ritirare i loro soldi dai conti in cui sono depositati.
A tale proposito, interessanti sono le condizioni previste anche per la concessione dei prestiti d’emergenza, allungati da 90 giorni a 12 mesi: i titoli obbligazionari saranno valutati al loro valore nominale e non di mercato. Questo significa che le banche potranno accedere alla liquidità della FED senza che i loro portafogli obbligazionari siano scontati per via dei minori prezzi rispetto a quelli nominali. Non un aiuto secondario, dato che si stima che le banche americane detengano T-bond e Mbs a prezzi tali da implicare perdite potenziali per 600 miliardi di dollari.
Ricordiamoci che SVB è fallita dopo avere annunciato perdite per 1,8 miliardi su un portafoglio di bond da 21 miliardi. La successiva ricapitalizzazione tentata e la fuga dei depositi hanno determinato il crac in poche ore. Valutando i bond ai prezzi nominali, artificiosamente le autorità americane stanno azzerando il rischio immediato di liquidità a carico delle banche americane. Basterà ad evitare il contagio? Il problema sta nel fatto che quei titoli potranno anche valere 100 per ottenere prestiti dalla FED, ma sul mercato saranno trattati a 90, 80, 70 e così via.
Salvataggio banche con fine stretta sui tassi
E per evitare che le banche debbano confrontarsi con il mercato, è necessario che la FED inietti loro liquidità a sufficienza. D’altro canto, il conto lo dovranno pagare azionisti e obbligazionisti non garantiti. Parteciperanno, com’è giusto che sia, alle perdite. E le banche in buono stato di salute verseranno un contributo per garantire tutti i depositi e sventare così il contagio.
Il salvataggio delle banche americane arriva dopo quindici anni dal crac di Lehman Brothers. Se allora fu il mercato dei mutui “subprime” ad avere provocato il terremoto finanziario, stavolta sono i tassi ad avere agito. La FED li ha alzati in meno di un anno dallo 0,25% al 4,75%. I prezzi di azioni e bond sono collassati e chi aveva questi asset in portafoglio si è ritrovato con asset molto svalutati. Per il sistema finanziario può essere un problema. Se i clienti pretendono rendimenti più alti sui prodotti loro offerti, i costi aumentano. E se qualche istituto ha bisogno di liquidità, dovrà vendere gli asset ai prezzi di mercato, cristallizzando a bilancio quella che fino a poco prima era solo una perdita virtuale.
Ed ecco che improvvisamente diventa molto meno probabile che la FED aumenti i tassi anche al board di prossima settimana. Il mercato sta rivedendo alla svelta le sue previsioni. Il vero salvataggio delle banche americane arriverà non dal piano d’emergenza, bensì dalla fine della stretta monetaria. E accadrà lo stesso in Europa, checché ne diranno Christine Lagarde e compagnia cantante.