Le elezioni federali in Germania hanno esitato per l’Unione cristiano-democratica (CDU-CSU) di Angela Merkel il peggiore risultato dal Secondo Dopoguerra. Meno di un quarto dei tedeschi l’hanno votata, 9 punti in meno rispetto al 2017. Una crisi attribuibile certamente al poco carismatico e disastroso in campagna elettorale Armin Laschet, ma fino a un certo punto. Il debito pubblico italiano, o meglio le azioni che si sono rese necessarie per garantirne la sostenibilità, hanno giocato un ruolo primario per il tracollo dei consensi del centro-destra tedesco.
Per capire che la crisi della CDU-CSU sia tutt’altro che di questi mesi, bisogna tornare indietro alle elezioni federali del 2017. Allora, il partito ottenne quasi il 33%, comunque il peggiore risultato dal 1949. Il disastro fu tale, che la cancelliera promise che non si sarebbe più ricandidata e lasciò di lì a poco la guida della CDU, passata per breve tempo nelle mani del suo ex delfino Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK), anch’ella travolta dall’impopolarità.
Perché tanto livore da parte dei tedeschi verso un partito che sembra avere garantito decenni di benessere, stabilità politica invidiata da tutto il mondo e crescente peso in Europa? La causa va ricondotta ai bassissimi tassi d’interesse vigenti ormai da anni in tutta l’Eurozona e, in particolare, in Germania. I tedeschi sono notoriamente un popolo di risparmiatori e previdenti. Accantonano parte dello stipendio per mettere al sicuro non solo il presente, ma soprattutto la vecchiaia. Tuttavia, i tassi a zero fissati dalla BCE per reflazionare l’economia minacciano questa loro strategia. Per tendere a un certo livello di reddito futuro, sono costretti ad aumentare i risparmi, ovvero a tagliare i consumi attuali.
Debito pubblico italiano e leadership tedesca
Cosa c’entra tutto ciò con il debito pubblico dell’Italia? Non è un mistero che la BCE si sia imbarcata in stimoli monetari senza precedenti già prima della pandemia per salvare il nostro Paese dal rischio default.
Metà dei tedeschi vive in affitto e i canoni di locazione nelle città esplodono di anno in anno. Uno choc per un paese abituato a prezzi pressoché fermi tra la caduta del Muro e l’inizio del decennio scorso. La CDU-CSU di Merkel ha dovuto suo malgrado accettare una politica monetaria inefficiente per la propria economia, consapevole che l’alternativa sarebbe stata la fine dell’euro e la perdita della leadership economico-politica conseguita dopo tanto lavoro. Gli elettori non glielo hanno perdonato. A destra si sono rifugiati in molti casi nell’AfD, il partito euro-scettico contrario proprio alla condivisione dei debiti e alla politica di Francoforte.
Negli ultimi mesi, però, le cose sono peggiorate. L’inflazione tedesca è cresciuta sopra il 4%, un livello che i consumatori in Germania non erano più abituati a vedere da quasi trenta anni. La posizione del centro-destra tedesco si è fatta sempre più precaria. Da garante della stabilità, è stato percepito come avallante dei molti provvedimenti europei ostili al benessere nazionale. Tra questi, il Recovery Fund. La crisi non è tanto e solo personale, bensì di linea politica. Le ambiguità sono diventate insostenibili. Chi succederà a Laschet, con ogni probabilità alzerà la voce contro l’Europa su politica fiscale e monetaria. Per un po’ risolleverà le sorti del partito nei sondaggi, salvo incappare nella stessa ragnatela in cui sono rimasti invischiati Merkel, AKK e per l’appunto Laschet.