La recente pandemia ha portato ai massimi livelli una tendenza che, nel loro piccolo, i cittadini hanno sempre tenuto viva nel loro modus operandi: quella del risparmio a scopo precauzionale.
La frenata ai consumi imposta dal Covid-19, infatti, ha reso sconsigliabile impiegare i propri risparmi su fronti di investimento, portando i risparmiatori a lasciare in stasi le risorse a disposizione, magari sui conti correnti. Il che, se da un lato è stato legato unicamente a una logica di prudenza, dall’altro ha creato i presupposti per una stagnazione del denaro liquido, limitando in modo massiccio il ricorso agli investimenti.
Una situazione che, nel momento in cui le restrizioni si sono via via fatte più leggere, ha convinto gli istituti di credito a operare una stretta sui conti correnti più pesanti, invitando i correntisti a utilizzare degli strumenti appositi per evitare il ristagnamento delle proprie risorse. Più o meno lo stesso è avvenuto per Poste Italiane, che aveva annunciato, lo scorso anno, la chiusura dei libretti con movimenti assenti da dieci anni.
Del resto, gli investimenti rappresentano comunque una fonte di ricavo per lo Stato. E, in quanto tale, esiste una tassazione ad hoc, che rende la convenienza dell’apposizione del proprio denaro su strumenti di rendimento progressivo un po’ meno… conveniente. Se non altro perché, a fronte dei guadagni ottenuti, saranno applicate delle imposte apposite, a seconda delle rendite finanziarie ottenute. Secondo la normativa vigente in materia, lo Stato italiano prevede due aliquote, una fissata al 26% e l’altra al 12,5%, applicate sia sugli strumenti generici di investimento che su quelli direttamente connessi ai titoli di stato. In pratica, si applicherà una tassa direttamente su quanto fruttato rispetto al capitale iniziale.
Tasse sugli investimenti: quali sono e quando si applicano
Un dettaglio, quello della tassazione, che teoricamente dovrebbe essere noto a tutti gli investitori.
Ad esempio, lo Stato prevede un’aliquota fissa al 26% sui profitti generati da quasi tutte le forme di investimento. Fanno eccezione unicamente i titoli di stato. Tanto per dirne una, se il campo prescelto fosse quello azionario, sulla rendita generata dalla compravendita di azioni sarà applicata un’aliquota impositiva pari al 26%.
Per quanto riguarda i titoli di stato, invece, si fa riferimento alle obbligazioni pubbliche emesse direttamente dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia. In questo caso, l’aliquota applicata beneficerà di una sorta di sgravio fiscale, che porterà la percentuale a un più ammortizzabile 12,5%. Un dettaglio che, negli anni, ha convinto sempre più risparmiatori a convogliare una parte delle proprie risorse nelle obbligazioni pubbliche, perlopiù nei Buoni del Tesoro pluriennali, gettonati in quanto forti di un rendimento pressoché garantito, oltre che di una flat tax sulle rendite.
Le altre tasse
Non vanno poi dimenticate le tasse diverse dalle aliquote sull’imponibile. Ad esempio, sul valore di mercato dell’attività finanziaria (o in alternativa sul costo d’acquisto) è prevista l’applicazione di un’imposta di bollo. Questo vale per tutti gli strumenti di gestione delle finanze. Come i conti correnti e i libretti di risparmio, per i quali l’importo è fisso a 34,20 euro (persone fisiche) o 100 euro (soggetti differenti). Persino sulle operazioni finanziarie è prevista l’applicazione di una tassazione, la cosiddetta Tobin tax. Tassa prevista sui trasferimenti di proprietà di azioni e strumenti partecipativi relativi (quindi emessi) da società residenti nel territorio dello Stato.
Riassumendo…
- Su qualsiasi strumento di investimento è prevista l’applicazione di una tassazione sulle rendite ottenute;
- le aliquote applicate sono due: 26% per gli strumenti finanziari ordinari; 12,5% per le obbligazioni pubbliche;
- il sistema fiscale prevede l’applicazione di altre tasse variabili, come l’imposta di bollo e la Tobin tax.