È possibile lavorare in ritenuta d’acconto senza aprire la partita Iva? “Il lavoro nobilita l’uomo“, recita un vecchio detto. E in effetti l’attività lavorativa riveste un ruolo importante nella nostra società, consentendoci di ottenere il denaro necessario per pagare i vari beni e servizi di nostro interesse.
Non tutti, ovviamente, svolgiamo lo stesso lavoro. Allo stesso tempo, tanti e diversi sono anche i tipi di rapporto di lavoro che si instaurano. In particolare, coloro che non hanno una busta paga e non sono titolari di partita Iva possono essere pagati con una ritenuta d’acconto.
Come lavorare a ritenuta d’acconto senza aprire la partita IVA
I soggetti che svolgono lavori saltuari possono essere pagati con una ritenuta d’acconto. Quest’ultima è in pratica un importo che viene trattenuto dal datore di lavoro come forma di anticipo sulle imposte del collaboratore. La ritenuta d’acconto può essere applicata solamente nel caso in cui un soggetto effettui una prestazione lavorativa a favore di un sostituto di imposta. Tra questi si annoverano imprese e professionisti che non rientrano nel regime forfettario, condomini, associazioni, società di persone e di capitali.
Entrando nei dettagli, così come si evince dal sito dell’Agenzia delle Entrate, sono soggetti a ritenuta d’acconto i compensi corrisposti per:
- prestazioni di lavoro autonomo, anche occasionale e anche sotto forma di partecipazione agli utili;
- prestazioni rese a terzi o nel loro interesse;
- assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;
- contratti di associazione in partecipazione se l’apporto dell’associato è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro;
- utili ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata;
- cessione dei diritti d’autore;
- diritti per opere d’ingegno, ceduti da persone fisiche che hanno effettuato il relativo acquisto.
Non sono soggetti alla ritenuta d’acconto, invece, i compensi di importo inferiore a 25,82 euro.
Lavoro in ritenuta d’acconto: come funziona e ricevuta
Quando una persona svolge un’attività lavorativa occasionale deve provvedere a consegnare al committente una ricevuta che indica il compenso da cui deve scalare la percentuale di ritenuta d’acconto sull’Irpef. Tale percentuale è in genere pari al 20%. L’aliquota aumenta al 30% sui compensi per prestazioni di lavoro autonomo anche occasionali corrisposti a persone non residenti. Stesso discorso vale anche per i compensi per cessione di opere d’ingegno, marchi e brevetti corrisposti a persone non residenti.
La ricevuta deve contenere i dati sia del collaboratore che del committente, oltre alla descrizione della prestazione lavorativa effettuata. Deve essere chiaramente indicato anche l’importo lordo della prestazione, quello della ritenuta d’acconto e l’importo netto da pagare. Quest’ultimo dato proprio dalla differenza tra l’importo lordo e la ritenuta. Una volta consegnata la ricevuta, il datore di lavoro paga il compenso netto a chi effettua l’attività lavorativa. Sempre il committente, inoltre, versa tramite modello F24 la ritenuta d’acconto entro il giorno 16 del mese successivo.
Dichiarazione dei redditi e quando conviene lavorare in ritenuta d’acconto
In sede di dichiarazione dei redditi i soggetti interessati devono presentare la certificazione dei compensi ricevuti e delle ritenute applicate nel corso dell’anno. Tale certificazione viene consegnata dal datore di lavoro entro il 31 marzo dell’anno successivo. Non tutti però devono presentare la dichiarazione dei redditi 730. Entrando nei dettagli una persona può non presentare la dichiarazione dei redditi se nel corso dell’anno di riferimento ha percepito solo compensi per prestazioni occasionali. L’importo dei guadagni percepiti, inoltre, non deve superare quota 4.800 euro.
Ma conviene sempre lavorare con ritenuta d’acconto? Ebbene, non è possibile fornire una risposta a priori.