Come potrebbero cambiare (in meglio) Quota 102 e Opzione Donna 2022

Dubbi sulla utilità di quota 102 e sulla necessità di riservare Opzione Donna solo alle lavoratrici. Cosa potrebbe cambiare con la legge di bilancio.
3 anni fa
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Quota 102 e Opzione Donna, insieme ad Ape Sociale allargata, saranno le novità delle pensioni 2022. Il Parlamento, salvo ripensamenti dell’ultima ora, dovrebbe approvare la riforma con la legge di bilancio.

Sul punto, si è espressa anche la Corte dei Conti, recentemente intervenuta in audizione davanti alla Commissione parlamentare Bilancio. Il parere dei giudici contabili non è stato però del tutto positivo su quota 102 e Opzione Donna.

Quota 102, i dubbi della Corte dei Conti

La raccomandazione della Corte al Parlamento è quella di non adottare ulteriori misure in tema di pensioni anticipate.

Ma anche quella di migliorare le proposte del governo che già sono state presentate. Come Opzione Donna e quota 102 appunto.

I giudici contabili si soffermano più che altro sulla spesa per le pensioni che non potrà debordare ulteriormente il bilancio di previsione. Così, per quota 102 (in pensione a 64 anni di età e con 38 di contributi) la spesa per il 2022 è di 192 milioni. Cifra che sale nel 2023 a 687 milioni per poi andare oltre con gli anni a venire.

Un anticipo pensionistico, quello di quota 102, che costa tanto e rende poco. Solo 16.800 lavoratori beneficeranno a tutti gli effetti dell’uscita dal lavoro nel 2022. Un decimo rispetto a quanto avveniva con quota 100. Ne vale veramente la pena?

Opzione Donna da estendere anche agli uomini

Anche Opzione Donna costa, ma incide meno sulla spesa previdenziale. Del resto la pensione è liquidata con forte penalizzazione rispetto ai requisiti ordinari. Sul punto la Corte dei Conti è però positiva solo in parte.

Il suggerimento inviato alle Camere è quello di valutare che il sistema di calcolo delle pensioni sia esteso prima o poi anche agli uomini. Del resto, ricordano i giudici contabili

sistema pensionistico generale ha optato per un modello che non discrimina in base al genere dell’assicurato”.

Di fatto, la possibilità di uscire a 58 o 59 anni viene accordata solo alle donne, ma non agli altri assicurati nel regime pienamente contributivo i quali, come è noto, possono oggi lasciare il lavoro solo a 64 anni compiuti.

In conclusione, è opportuno che il legislatore valuti l’estensione del trattamento anche agli uomini per garantire uniformità di trattamento. In altre parole, si anticipi il passaggio al regime contributivo puro.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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