Come vivere di rendita dopo il lavoro, senza passare dai fondi pensione

Farsi una pensione integrativa fai da te dopo il lavoro investendo il Tfr in titoli di Stato. Senza rischi e con la garanzia del capitale a scadenza.
1 anno fa
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Contributi Inps per una pensione da 1.500 euro al mese
Contributi Inps per una pensione da 1.500 euro al mese © Licenza Creative Commons

La preoccupazione della maggior parte dei lavoratori è quella di consocere per tempo se la loro pensione basterà per vivere in vecchiaia. Timore che esiste da sempre, ben inteso, ma che negli ultimi anni si è trasformato gradualmente in senso di paura. Già, perché l’importo medio delle pensioni è tendenzialmente in calo in Italia, mentre il costo della vita aumenta di anno in anno.

Per chi possiede grosse ricchezze il problema non si pone, ma per chi dovrà vivere di sole entrate da pensione sarà un dramma.

Anche perché il welfare italiano è in decedenza. Per questo è bene essere previdenti. Una soluzione ideale – diciamolo subito – non esiste. Ma non è nemmeno quella offerta dai fondi pensione che tutti strombazzno. L’interesse dei gestori dei fondi non coincide con quello dei lavoratori, anche se raccontano il contrario. I rischi di perdere soldi sono elevati.

Come vivere di rendita investendo il Tfr in titoli di Stato

Cosa fare allora? La soluzione migliore, anche se non risolverà il problema di integrare adeguatamente la pensione in futuro, è quella di investire il Tfr in titoli di Stato italiani. Btp o Cct, non fa molta differenza, anche se è bene conoscerne il funzionamneto prima di muoversi sul mercato. A volte è bene farsi consigliare dal proprio consulente finanziario evitando però la sottoscrizione di fondi o prodotti promossi dalle banche, spesso poco trasparenti e costosi.

I titoli di Stato italiani, sono trasparenti, sicuri e offrono interessi su base semestrale (ogni sei mesi) garantendo la restituzione del capitale a scadenza. I Btp pagano cedole fisse, mentre i Cct pagano cedole indicizzate all’inflazione, sempre ogni sei mesi. Per la scelta degli strumenti, c’è solo l’imbarazzo della scelta e ognuno può decidere liberamente come impiegare in questo senso il tesoretto del Tfr al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Così, ad esempio, un lavoratore dipendente con stipendio medio di 25.000 euro all’anno potrebbe aver maturato a fine carriera, dopo 40 anni, un Tfr di circa 80.000 euro.

Soldi che, se investiti, in Btp e Cct in questo momento potrebbero fruttare mediamente il 4,3% all’anno su un arco temporale di 10 anni. Quindi, a conti fatti, circa 3.400 euro all’anno.

I vantaggi della pensione integrativa fai da te

La pensione del lavoratore di cui sopra, a 67 anni di età, potrebbe aggirarsi intorno a 18.000 euro all’anno. Di conseguenza, l’integrazione, in base alla simulazione di cui sopra, sarebbe del 18,8% in più utilizzando interamente il Tfr maturato investito in Btp e Cct. Quindi, in tutto 21.400 euro all’anno che su 12 mensilità fanno 1.780 euro al mese. Contro i 1.500 di sola pensione Inps.

Lo stesso risultato non sarà mai certo se si impiega il Tfr nei fondi pensione durante la vita lavorativa, come vogliono le associazioni, le assicurazioni, i governanti e i banchieri. I vantaggi fiscali promessi ai lavoratori se li divoreranno i gestori con commissioni più o meno occulte e costi di gestione la cui trasparenza è tutta da scoprire.

Non solo. Ammesso che un lavoratore accetti di seguire la strada dei fondi negoziali o aperti proposti dalla propaganda dell’alta finanza e concesso che il rendimento sarà in futuro pari a quello dell’esempio di cui sopra, non è garantito il capitale. In caso di decesso, il Tfr versato, scegliendo la rendita, resterà in pancia ai fondi pensione. Nel caso dei titoli di Stato, invece, finirà agli eredi per successione.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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