Avanza il commercio elettronico e non per tutti è una buona notizia. Oggi, ben due marchi di abbigliamento con target di mercato profondamente differente sono stati travolti in borsa. Parliamo del brand del lusso italiano Salvatore Ferragamo e della catena di negozi H&M. Il primo è arrivato a perdere l’8% a Piazza Affari e mentre scriviamo segna ancora il -6,5%. Più drammatico è stato il crollo di H&M, che alla Borsa di Stoccolma è arrivato a cedere il 16% e attualmente viaggia a -13,6%, segnando il peggiore calo dall’11 settembre del 2001.
Cosa sta succedendo? Come sopra annunciato, il commercio elettronico sta facendo male a chi non ha fatto in fretta a innovarsi per non cedere terreno ai clic. H&M ha registrato un calo delle vendite, al netto dell’IVA, del 4% a 50,4 miliardi di corone svedesi nel quarto trimestre, quando il mercato si attendeva una crescita del 2%. E’ stato il terzo calo in un decennio, ma sufficiente a fare suonare l’allarme ad analisti e investitori, anche perché il gruppo, pur essendo stato tra i primi a spingere sulle vendite online, non si è mostrato in grado di portare avanti tale strategia e ha puntato eccessivamente sull’espansione della rete commerciale fisica. Adesso, sta tentando di porre un freno all’apertura di nuovi negozi, accelerando le chiusure dei punti vendita, con 385 aperture programmate per quest’anno, a fronte di 90 saracinesche abbassate.
Non solo, perché per la prima volta ha annunciato per il febbraio prossimo un “investor day”, occasione per spiegare al mercato la propria strategia di integrazione della rete fisica con quella digitale. Adesso, però, H&M si trova a rincorrere la concorrenza, con Zara già a vendere online in 45 economie, quando gli svedesi ambiscono ad arrivare a 43 mercati entro l’anno e cercano di stringere un’alleanza con Alibaba per espandersi in Cina, ma si consideri che gli spagnoli stanno già studiando spedizioni in giornata nelle principali città per attirare nuovi clienti.
Il caso Ferragamo
Salvatore Ferragamo, invece, dopo un 2017 piatto nelle vendite, ha lanciato stamattina un “profit warning” per il triennio prossimo, non essendo più in grado di garantire una crescita doppia del fatturato rispetto al mercato per il periodo 2017-2020, sostenendo, al contrario, che anche il 2018 dovrebbe essere un anno interlocutorio, di transizione. La società si è impegnata a rinnovarsi sul fronte dell’IT e di aumentare gli investimenti nel marketing, attraverso una campagna social che punti ad espandere il brand nel commercio elettronico. Anche per gli italiani, quindi, il problema resta passare dal “brick and mortar” a un’integrazione con internet, anche perché i cosiddetti “millenials” (i nati tra il 1980 e la fine degli anni ’90), che rappresentano un terzo del mercato del lusso, starebbero optando per brand alternativi come Gucci, il quale da tempo ha rinnovato la sua immagine, rendendola appetibile proprio al pubblico più giovane, che è anche quello che compra con maggiore frequenza online.
Il retail tradizionale non è certo morto, ma la crisi morde. E meno male per gli svedesi che sono diventati l’esempio della “fast fashion”, quella moda veloce, “cheap”, non brillante, che consente a tutti di vestire con pochi soldi e di passare a una nuova collezione con elevata frequenza. Si stima che solo negli USA, ogni anno 14 milioni di tonnellate di abbigliamento vengano buttate, contribuendo a provocare anche un inquinamento ambientale non indifferente.