Sono tempi duri per il commercio mondiale e per i suoi sostenitori. Questa settimana, abbiamo appreso ufficialmente che il vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, ossia il numero 2 del principale governo della UE-27, ha dato per morto l’accordo di libero scambio tra USA e UE, noto anche come TTIP. Reazioni quasi entusiastiche ha riscosso l’intonazione funebre di Gabriel in Francia, da sempre ostile all’abbattimento delle barriere doganali tra le due sponde dell’Atlantico.
E, invece, per rinvigorire la crescita sottotono delle economie avanzate servirebbe un colpo d’ali al commercio mondiale, rifuggendo dalla tentazione opposta dei governi nel corso della Grande Depressione degli anni Trenta, quando chiudendo le frontiere dell’import/export sono finiti per trasformare una crisi pur grave delle rispettive economie in un collasso verticale della ricchezza.
Crisi commercio mondiale dal 2008
Il commercio mondiale, che ha ricevuto una spinta quasi trentennale sin dagli anni Ottanta, quando è iniziata la fase più avanzata della globalizzazione economica, è in affanno sin dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008, tanto che non si è mai ripreso da allora.
Per misurare il grado di interazione commerciale nel pianeta si utilizza da anni il cosiddetto BDI, sigla che sta per Baltic Dry Index, ovvero un indicatore dei prezzi di trasporto delle merci non liquide, come carbone, grano, etc., sulle navi cargo. Ebbene, dovete sapere che tale indicatore era arrivato a al record storico di 11.873 punti il 20 maggio del 2008, ma sei mesi dopo sprofondava del 94% a soli 663 punti.