Mentre montano le tensioni tra Messico e USA sulla costruzione del muro e la rinegoziazione del NAFTA ordinate dal presidente Donald Trump, il resto del pianeta si chiede se il commercio mondiale sia a rischio, quando già non vive una stagione florida di suo. Oltre alla minaccia di dazi della nuova amministrazione americana contro il partner del Sud e la Cina, l’Europa è alle prese con la Brexit, la fuoriuscita del Regno Unito dalla UE e probabilmente anche dal mercato comune. Mai come adesso, quindi, il libero commercio sarebbe a rischio, almeno a sentire le voci preoccupate delle capitali europee, in particolare. Eppure il premier britannico Theresa May ha promesso ai sudditi di Sua Maestà di voler fare dell’economia nazionale un “campione del libero commercio nel mondo”.
Contraddizione o esiste una diversa verità? Se c’è un equivoco, in cui stiamo incorrendo un po’ tutti, dagli economisti ai politici, passando per giornalisti e opinione pubblica, sta nel confondere il libero commercio con i trattati commerciali, che sono due cose distinte. (Leggi anche: Commercio mondiale, dottrina Trump è protezionismo o nuova globalizzazione?)
Libero commercio e trattati commerciali non sono la stessa cosa
Il primo consiste nella possibilità per le merci e i servizi di essere liberamente scambiati tra gli stati, senza dazi e senza barriere non tariffarie. A questo scopo è nato nel 1995 il WTO, l’Organizzazione del Commercio Mondiale, composto da 164 membri, che punta ad armonizzare le norme sui commerci tra gli stati aderenti, liberalizzando e sostenendo gli scambi.
La presidenza Trump non sta puntando il dito contro il WTO, come a suo tempo fece il movimento no-global, per intenderci quello che protestava a ogni vertice del G-8 contro la globalizzazione economica.
Il presidente americano sta lottando contro due storture, a suo dire, ai danni dell’America: il Messico e la Cina. (Leggi anche: Commercio mondiale, Trump potrebbe portargli fortuna?)