La molteplicità degli accordi commerciali
Il Messico, gli USA e il Canada sono legati da un’area di libero scambio, chiamata NAFTA, accordo siglato nel 1994 e già predisposto negli anni della presidenza George Bush. Similmente all’ASEAN e all’EFTA, si tratta di accordi, in virtù dei quali tra gli stati aderenti le barriere doganali vengono abbattute, mentre rispetto ai paesi terzi, ciascuno mantiene le proprie regole.
Di diverso tipo sono i mercati comuni, come la UE e il Mercosur, in cui all’interno non esistono barriere doganali e verso i paesi esterni si adottano regole e dazi comuni.
Gli accordi commerciali creano distorsioni
Perché questi trattati non coincidono con il concetto di libero commercio, che si suppone possa essere la vittima dell’amministrazione Trump? Perché la loro funzione risiede nella volontà di stringere le relazioni commerciali tra due o più paesi, come se tendessero a diventare un mercato unico al loro interno. Ciò crea evidenti benefici alle imprese e ai consumatori dei paesi membri, ma anche distorsioni, come nel caso del NAFTA. Il Messico, ad esempio, oggi esporta per l’80% verso gli USA. Se da un lato è naturale che gran parte delle sue esportazioni siano verso il partner ricco confinante del nord, dall’altro gli stessi numeri dimostrano che tale intensità negli scambi con l’economia americana sia stata proprio conseguenza del NAFTA. (Leggi anche: Messico, rimesse record immigrati negli USA)
In un certo senso, gli accordi commerciali tendono a provocare distorsioni, ai danni dei paesi non aderenti. E’ come se le economie aderenti si chiudessero al riccio al loro interno e lasciassero un po’ fuori il resto del mondo.