Gli italiani e il mattone possono considerarsi un tutt’uno. Almeno, fino a un decennio fa, il binomio sembrava inscindibile. Dove c’era un italiano, c’era casa, volendo mutare un po’ un famoso spot televisivo dei decenni passati. Poi, la crisi. Inizialmente, i valori immobiliari reggono, ma certamente smettono di crescere sin dal 2006. E quando nel 2011, a seguito delle tensioni finanziarie che colpiscono particolarmente l’Italia, le banche iniziano a chiudere i cordoni della borsa e i mutui vengono erogati con il contagocce, se non è stato divorzio, di sicuro abbiamo assistito per la prima volta nella storia moderna a una pausa di riflessione tra famiglie e mercato immobiliare.
Tassi mutui e prezzi case crollati, anche 400.000 euro risparmiati con la crisi
Ma come mai come popolo siamo così legati alla casa? Le ragioni sono diverse e riguardano anche la sfera culturale. C’è un atavico pragmatismo che non è stato scalfito, se non parzialmente, dall’era moderna e che spinge l’italiano medio a preferire investimenti solidi, tangibili al posto di una ricchezza spesso virtuale e pronta ad evaporare al primo crollo dei mercati azionari. Per qualcuno è segno di arretratezza, per altri di un modo di ragionare contadino improntato alla concretezza. Fatto sta che una delle ragioni per cui il mattone è stato preferito ad altre forme di impiego dei risparmi ha consistito nella convinzione radicata che un immobile regga di valore nel tempo, anzi tende a incrementarlo, di fatto proteggendo il proprietario dal rischio di inflazione.
Così il mattone ha tradito gli italiani
Eppure, a leggere certi dati, sembra che la convinzione non abbia fondamenta solide. Secondo Scenari Immobiliari, tra il 1993 e il 2017, i prezzi medi delle case in Italia risultano essere cresciuti nominalmente del 37,6%. Già la percentuale in sé appare poco entusiasmante – appena l’1,3% all’anno – ma considerando l’inflazione cumulata nel periodo, si scopre che mediamente un immobile nel Bel Paese si sarebbe “svalutato” di quasi il 15% in termini reali. Insomma, fatto 100 il valore dell’investimento nel 1993, oggi avremmo nel nostro patrimonio qualcosa che varrebbe intorno a 137 (i prezzi continuano a scendere), ma pari a un 85 reale, ossia al netto dell’inflazione. Non proprio una scommessa vincente, tutt’altro.
Vediamo di capirci meglio con altri dati. Nel 2017, lo stipendio medio annuo lordo in Italia si è attestato a 28.977 euro, anche se certamente bisogna considerare che un medico non percepisce quanto un operaio o un notaio quanto un insegnante, etc. Al netto delle imposte, fanno 20.306 euro, cioè 1.560 euro al mese per 13 mensilità. Stando a Immobiliare.it, nel mese di giugno di quest’anno, un metro quadrato medio in Italia di un immobile residenziale è stato venduto a 1.934 euro. Attenzione, perché la media nazionale poco o nulla ci dice delle concrete condizioni in cui versa il mercato immobiliare. Una cosa, infatti, è comprare casa a Roma o Milano, un’altra a Foggia o Crotone. Ad ogni modo, oggi come oggi troviamo che un italiano medio sarebbe in grado di acquistare con il proprio stipendio netto oltre 10 metri quadrati di immobile all’anno. In una decina di anni, dunque, si comprerebbe un’abitazione da 100 metri quadrati, che potremmo considerare una superficie soddisfacente per una famiglia-tipo.
Anche in questo caso, bisogna tenere conto che lo stipendio non può certo essere impiegato solamente per l’acquisto di un immobile o per il pagamento del relativo mutuo. Tuttavia, ciò che qui importa ai fini del nostro ragionamento è che, tenuto conto che nel 1993, anno utilizzato per il confronto da Scenari Immobiliari, uno stipendio medio si attestava a 1.200.000 lire (circa 670 euro), possiamo ben affermare che un quarto di secolo fa per una famiglia nel nostro Paese fosse possibile acquistare solo poco più di 6 metri quadrati all’anno, per cui comprare casa oggi sarebbe diventato più a buon mercato, contrariamente alla diffusa convinzione che sia più costoso.
Mercato immobiliare, segnali di stabilizzazione della domanda
Oro batte casa
Stando a questi numeri, altro che mattone contro l’inflazione; a vincere sarebbe stata quest’ultima, almeno nel periodo in considerazione. Eppure, se prendiamo per buoni sempre i dati di Immobiliare.it, in base ai quali un affitto medio a giugno sarebbe stato pari a 9,47 al metro quadrato, si ha che chi oggi acquistasse una seconda casa per concederla in locazione, dal canone riscosso mensilmente otterrebbe un rendimento medio annuo lordo del 5,9%, mica male in un periodo di tassi azzerati e nel quale persino i vituperati BTp offrono ancora “solo” la metà di quella percentuale per la scadenza decennale. Se, poi, rapportassimo il canone annuo complessivo ai valori di acquisto di 25 anni fa, si ottiene un rendimento sul capitale investito del 6,5%. Tuttavia, si tenga conto che in esso sono inclusi costi spesso elevati, legati alla tassazione, nonché alle spese di ordinaria e straordinaria manutenzione dell’immobile.
Detto ciò, non avrebbe avuto più senso, ragionando a posteriori, investire in un altro asset “sicuro”, ossia l’oro? Oggi, le quotazioni del metallo si attestano su valori più che tripli rispetto al 1993, quando non arrivavano ai 400 dollari l’oncia. Trascurando l’effetto cambio, si avrebbe avuto un rendimento medio annuo pari al 4,8%, triplo rispetto al tasso medio d’inflazione in Italia nel periodo.
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