Il precedente del 2011
Poiché il Giappone è proprio l’economia che presenta i tassi d’interesse più bassi al mondo, tra deflazione ventennale e politica monetaria ultra-espansiva negli ultimi anni, lo yen serve certamente a indebitarsi per investire altrove il denaro, ma adesso che le tensioni in Asia sono alle stelle, è presumibile che molti investitori stiano riportando i capitali a Tokyo. Quand’anche non fosse (ancora) così, il mercato specula che ciò accada, ovvero che lo yen si rafforzerà, anticipandone l’apprezzamento per quelle che sono anche note come “profezie che si auto-realizzano”.
Infine, si tenga presente quanto accadde con il devastante tsunami del marzo 2011, conseguenza di un potente terremoto di 9 gradi della scala Richter, che si verificò al largo della regione di Tohoku. Quell’anno, lo yen chiuse a +7% contro il dollaro, rispetto al cambio vigente nel giorno precedente alla catastrofe. Come mai? Fu l’effetto del rimpatrio di miliardi di capitali detenuti all’estero da parte delle compagnie di assicurazione, in previsione delle numerose richieste di risarcimento da parte di imprese e famiglie clienti danneggiate.
Anche stavolta sarebbe del tutto simile. Se malauguratamente il Giappone dovesse essere attaccato da un qualche missile o un’arma nucleare dalla Corea del Nord, le devastazioni aprirebbero un esoso capitolo di risarcimento dei danni e le compagnie assicurative dovrebbero farvi fronte, disinvestendo parte degli assets detenuti all’estero. Il rimpatrio dei capitali e la necessaria conversione in yen rafforzerebbe la moneta nipponica, esattamente come accadde 6 anni e mezzo fa. (Leggi anche: Corea del Nord lancia missile in Giappone)