Dall’Europarlamento sono arrivati due provvedimenti, di cui uno non ancora definitivo, che va nella direzione di accelerare la svolta green del Vecchio Continente. La Commissione Industria ha approvato un testo, che dovrà passare al vaglio dell’Aula plenaria a marzo, secondo cui tutte le abitazioni dovranno raggiungere almeno la classe E entro il 2030 e la D entro il 2033. Qualche giorno più tardi, gli eurodeputati hanno definitivamente votato per vietare dal 2035 la vendita di auto a motore termico. Sarà possibile vendere solamente auto elettriche.
La svolta green rischia di costare in Europa centinaia di migliaia di posti di lavoro solamente per il comparto auto. La produzione di auto elettriche, tra le altre cose, ci pone in una condizione di dipendenza dalla Cina, la quale dispone delle materie prime e che per questo è più avanti di tutti su questo mercato. Come se la lezione sul gas russo non ci avesse insegnato nulla.
Svolta green inaccessibile ai lavoratori
Le intenzioni sono lodevoli. Tendere ad emissioni zero di CO2 entro il 2050 (EU Green Deal) per cercare di disinquinare il pianeta e contenere il riscaldamento globale. Quanto all’efficacia delle misure adottate, esistono parecchi dubbi. In primis, perché l’Unione Europea incide solamente per l’8% dell’inquinamento mondiale e anche se per assurdo ci ponessimo l’obiettivo di azzerarlo, non si vedrebbero risultati se nel frattempo aree come l’Asia aumentassero le loro emissioni. Secondariamente, i mezzi vanno commisurati sempre agli obiettivi, altrimenti si scade nell’ideologia.
In Italia, si calcola che due case su tre rientrerebbero nelle classi F e G. E chiaramente sono spesso di proprietà delle famiglie meno abbienti. Se l’Unione Europea introdurrà l’obbligo di ristrutturare per tendere alla classe D entro il 2033, milioni di famiglie dovrebbero pagare costi anche ingenti per evitare sanzioni o anche solo di vedere deprezzate le proprie abitazioni.
Con le auto elettriche il problema non è meno serio. I prezzi sono ancora proibitivi persino per la stessa classe media. Si eccepirà che tra un decennio, quando i livelli di produzione e acquisti saranno aumentati notevolmente rispetto ad oggi, le economie di scala consentiranno prezzi di vendita più accessibili. Se è vero, allora perché imporre un obbligo quando il mercato sarebbe nelle condizioni di per sé di spostare i consumi verso i modelli elettrici? Come farebbe un operaio domani a comprare un’auto, che ai prezzi di oggi vale almeno il doppio del suo stipendio annuale?
Sinistra da lotta di classe ad ambientalismo
La difesa dell’ambiente è un obiettivo condivisibile, invece i mezzi per tendervi sono assai discutibili sotto il profilo sia dell’efficacia che delle conseguenze socio-economiche. La sinistra ha abbandonato da tempo la lotta di classe e spesso non perché abbia cambiato idea (negativa) sul libero mercato, semmai perché ritiene che non otterrebbe gli “appoggi” giusti nei salotti che contano, continuando a portare avanti un linguaggio e politiche “demodé”. In astinenza da ideologia, da tempo ha abbracciato l’ambientalismo come nuovo dogma. Crede così di accrescere il suo appeal, magari facendo leva sui giovani e nel frattempo ha abbandonato non solo le periferie, bensì anche la classe operaia.
In Italia, la crisi dei consensi a sinistra tra i lavoratori è lampante. Il PD risulta solo terzo o quarto tra i partiti votati dai dipendenti del settore privato. Non risulta difficile capire perché. La svolta green non può fare breccia tra quanti non possano permettersela.
Anziché interrogarsi sulle ragioni della sua crisi elettorale ormai incessante, dipinge chi la contesta come retrogrado e ignorante. Insomma, l’opposto di quello che gridava nelle piazze quando iniziò a contestare il capitalismo ancora nascente. Anche se esisterebbe un fil rouge tra la sinistra ambientalista di oggi e quella filo-sovietica di un tempo. Lo svela la battuta di Ennio Flaviano per cui “non sono comunista perché non me lo posso permettere”. Mutatis mutandis, sarebbe cambiato poco.