In Argentina restano poco più di due settimane alla conclusione della prima scadenza fissata per il condono fiscale varato a giugno dal presidente Javier Milei. Entro quella data potranno rivelare al fisco i risparmi occultati, che siano tenuti sotto il materasso o custoditi all’estero. Non pagheranno alcuna imposta e sanzioni fino alla cifra di 100.000 dollari, mentre sull’eventuale somma eccedente verseranno solamente il 5%. Dopo il 30 settembre avranno tempo fino a marzo per fare emergere il denaro occultato, ma l’imposta da pagare salirà al 10%.
Argentini scottati da volatilità politica
Il ministro dell’Economia, Luis Caputo, ha spiegato che il condono fiscale non è una misura per fare cassa, bensì per cercare di ravvivare la moribonda economia argentina. In ogni caso, il governo di Buenos Aires spera di incassare almeno 1,5 miliardi di dollari e che gli argentini rimpatrieranno almeno 40 miliardi. A titolo di confronto, nel 2017 un provvedimento simile, anzi meno generoso, fu varato dall’allora presidente moderato e oggi alleato di Milei, Mauricio Macri. Furono 117 i miliardi rimpatriati.
Si direbbe che Milei si sia posto un obiettivo poco ambizioso, mentre sembra vero il contrario. Se nei primi sette mesi di presidenza, i depositi bancari sono aumentati al ritmo mensile di 538 milioni di dollari (dai -70 milioni del biennio precedente), a luglio si è registrato un +728 milioni e ad agosto +749 milioni. Un rialzo del 40%, ma che non autorizza a ipotizzare il raggiungimento dell’obiettivo neanche lontanamente. Il fatto è che gli argentini sono scottati proprio dal precedente condono fiscale. Si fidarono del governo, ma due anni più tardi al potere tornarono i peronisti, i quali aumentarono l’imposta patrimoniale dallo 0,25% all’1,75%, ma al 2,25% sulle detenzioni all’estero.
Riserve valutarie nette ancora negative
In tutto, si stimano 258 miliardi custoditi fuori dall’Argentina. Una cifra enorme, di cui 5,4 miliardi sono emersi già nell’era Milei. I depositi risultano saliti a 19,8 miliardi e stanno aiutando le riserve valutarie. Queste, al netto dei prestiti internazionali e dei depositi delle banche a copertura delle giacenze dei clienti, restano negative per una cifra valutata tra 3 e 6 miliardi. Anche per questa ragione la dollarizzazione promessa da Milei non è stata attuata neanche in minima parte. Non ci sarebbero sufficienti dollari per transitare verso un’economia senza pesos.
Il condono fiscale arriva in una fase delicata per la presidenza Milei. La povertà si aggirerebbe intorno al 50%, mentre l’inflazione resta altissima su base annuale. Ad agosto era scesa al 236,7% dal picco del 292,2% di aprile. Su base mensile, i prezzi stanno crescendo da maggio sopra il 4%. In pratica, da quando Milei è entrato a Casa Rosada, il costo della vita è lievitato del 145%. Un trend che riflette la necessaria svalutazione del cambio di quasi il 55%. Al mercato nero, comunque, i pesos risultano scambiati a 1.265 contro il dollaro rispetto al tasso ufficiale di quasi 960. Insomma, la debolezza valutaria resta.
Condono fiscale a sostegno della ripresa economica
Va detto, però, che Milei sta centrando uno dei principali obiettivi dichiarati in campagna elettorale: il taglio del deficit fiscale, la madre di tutte le sciagure dell’economia argentina. In effetti, in tutti i primi cinque mesi dell’anno i conti pubblici hanno chiuso in attivo e ai livelli record. Ci sono stati pesanti tagli alla spesa pubblica, tra cui sussidi alla popolazione e cantieri pubblici. Non a caso il condono fiscale punta a vivacizzare il settore delle costruzioni grazie all’esenzione dalle imposte promessa per chi investe in esso.