Sempre più realtà imprenditoriali operanti su internet si stanno “convertendo” al business delle consegne a domicilio. All’utente bastano pochi click per completare gli ordini online e ricevere la merce, soprattutto prodotti alimentari, direttamente a casa. Ancora una volta però il lavoro che cambia comporta un adeguamento delle norme in vigore e delle tutele dei lavoratori: con la causa a Foodora a Torino si è aperta la questione dei diritti dei riders, i fattorini in bici per le consegne a domicilio.
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I fattorini per le consegne a domicilio sono dipendenti della piattaforma digitale?
Il tribunale di Torino ha negato a sei fattorini della società tedesca di delivery Foodora lo status di lavoratore dipendente. Ma la sentenza, assicurano i giovani della gig economy, non fermerà le prospettive: “È evidente che il diritto del lavoro in Italia è ancora indietro rispetto a quelle che sono le nuove forme del lavoro, ma la strada giuridica non è l’unica percorribile, come dimostra l’assemblea di oggi”.
Consegne a domicilio: nasce a Bologna il sindacato per i diritti dei riders?
Da tutta Italia i riders si sono radunati a Bologna per un’assemblea nazionale.
La scelta della città non è casuale non solo perché è una di quelle in cui il servizio delivery è maggiormente richiesto ma anche perché qui, nei mesi scorsi, è sorto il sindacato autonomo Riders Union, che riunisce circa trecento collaboratori delle piattaforme digitali con servizio di consegna.
Le richieste vertono su ferie, malattie, assicurazione contro incidenti stradali e retribuzioni dignitose. Nonostante oggi il servizio di delivery, ovvero consegna a domicilio, sia parte integrante di molte attività, quello dei riders viene ancora troppo spesso considerato come un lavoro di serie B o secondo lavoro per arrotondare.
E il fenomeno, come intuitivo, non è solo italiano: come ha sottolineato uno degli iscritti al sindacato solidale Deliverance Project di Milano. “Finora ci sono state mobilitazioni in Spagna, Inghilterra, Francia, Olanda, ma anche in Australia e a Hong Kong. La questione è globale, le prime risposte deve darle l’Europa”.
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