L’Unione Europea è il malato del pianeta. La sua crescita economica arranca da ormai troppi anni per potersi definire una semplice fase di stagnazione. Ed è rimasta maledettamente indietro sull’Intelligenza Artificiale, rischiando il declino definitivo nel lungo periodo. E se il suo rilancio passasse anche per l’aumento dei consumi cinesi?
Eccesso di risparmio
La Cina stessa non corre più come una volta. Il Politburo ha fissato al 5% l’obiettivo per la crescita. Gli analisti internazionali dubitano che sia in grado di rispettare la tabella di marcia prevista. Il Dragone è malato di eccesso di investimenti e troppo dipendente dalle esportazioni.
I consumi cinesi, invece, restano bassi. Lo sanno le autorità di Pechino, che da anni cercano di transitare verso un mix più equilibrato tra le componenti stesse della domanda interna aggregata. L’operazione si conferma ancora più necessari alla luce dei dazi americani.
I consumi delle famiglie cinesi non arrivano al 40% del Pil, quando negli Stati Uniti sfiorano il 70% e in Europa si aggirano a quasi il 60%. Ne consegue che i risparmi siano elevatissimi. Stando agli ultimi dati disponibili e riferiti al 2023, essi incidono per il 43% del Pil contro il 26% dell’Unione Europea e il 18,7% degli Stati Uniti. Ad occhio e croce, rispetto ai livelli comunitari mancano all’appello consumi per circa 3.000 miliardi di dollari. Cosa accadrebbe se la Cina gradualmente tendesse verso un modello di crescita più equilibrato? Le sue importazioni aumenterebbero di qualcosa come 500 miliardi all’anno, fermandoci ai valori attuali. E l’Unione Europea esporterebbe merci e servizi in Cina per una cinquantina di miliardi in più.
Impatto sull’economia europea
L’aumento dei consumi cinesi potenzierebbe il Pil europeo dello 0,3%. Può non sembrare molto, ma sarebbe pur sempre qualcosa in più. Il dato effettivo potrebbe risultare superiore. I maggiori consumi riguarderebbero, com’è ovvio, non particolarmente beni e servizi essenziali, per i quali la domanda c’è già. Essi beneficerebbero verosimilmente beni e servizi voluttuari, in gran parte prodotti all’estero.
Tanto per fare un esempio, immaginate quello che definiamo il mercato del lusso, di cui l’Italia è esportatrice all’avanguardia nel mondo. Non ci riferiamo solamente alle Ferrari o ai maglioni di cashmere, ma a quell’insieme di prodotti di qualità e destinati a una clientela in cerca di ricercatezza e status. Tra questi spiccano anche generi alimentari come vini e per la ristorazione.
L’aumento dei consumi cinesi non sarebbe la panacea dei nostri mali, ma darebbe una mano a risolverli. La parte difficile sta nel fatto che si tratti di un processo non manovrabile con la bacchetta, pur essendo la Cina un’economia di mercato etero-guidata dallo stato. Il cambio di policy stesso non è facile. Presuppone minori investimenti pubblici compensati da altro tipo di stimoli fiscali, una politica del credito più accorta e il potenziamento della domanda tramite una politica monetaria più espansiva. Le controindicazioni non mancano. Bisogna fare attenzione al cambio per evitarne il deprezzamento e all’inflazione che non minacci il potere di acquisto.
Consumi cinesi ad alto potenziale di crescita
I margini d’intervento ci sono per il momento. L’inflazione in Cina è prossima allo zero, il cambio resta sotto controllo, pur indebolitosi di oltre il 4% contro il dollaro da settembre. La pressione dei dazi si fa sentire sull’export, mentre i consumi cinesi vantano un potenziale di crescita ignoto alle altre grandi economie mondiali. Addirittura, negli Stati Uniti si fanno discorsi opposti, si fiuta il rischio di stare vivendo sopra le proprie possibilità. Un riequilibrio interno al Dragone sarebbe una buona notizia per l’economia europea.