Il premier Giuseppe Conte ha detto chiaro e tondo domenica sera, alla conferenza stampa mandata in onda dalla TV di stato, che non farà ricorso al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità). Le ragioni addotte sono semplici: si tratta di un prestito oneroso e che comporterebbe tagli alla spesa o aumenti delle imposte. Inoltre, ha spiegato che le voci di spesa che andrebbe a finanziare sarebbero state già coperte dal suo governo in questi mesi di emergenza sanitaria. Per tutta risposta, il segretario del PD, Nicola Zingaretti, ha dichiarato che sul MES non si possa liquidare il tema “con una battuta”.
Ma il premier esce apparentemente rafforzato sulla vicenda, perché se egli non intende far ricorso al prestito di emergenza, Spagna e Portogallo, addirittura, starebbero ipotizzando di rinunciare ai prestiti del Recovery Fund. Il fondo da 750 miliardi di euro, così com’è stato varato a luglio dal Consiglio europeo, si compone per 390 miliardi di sussidi e 360 miliardi di prestiti. I secondi, a differenza dei primi, vanno restituiti. I governi socialisti di Madrid e Lisbona temono che siano condizionati negli anni all’ottemperanza delle condizioni imposte da Bruxelles e che contribuiranno a fare lievitare i rispettivi debiti pubblici. E anche per l’Italia, a conti fatti, il Recovery Fund sarà un costo. I 90 miliardi di prestiti, come detto, dovranno essere restituiti negli anni, mentre i quasi 82 miliardi di sovvenzioni saranno più che compensati dal nostro contributo di 96,3 miliardi. Al netto, perderemo 14,5 miliardi, soldi che andranno a finanziare gli altri stati comunitari, tra cui la Grecia. E attenzione: se non riuscissimo a spendere tutti gli 82 miliardi delle sovvenzioni UE, il costo per il nostro bilancio pubblico s’impennerebbe.
Se proprio uno stato si deve indebitare, pensano i premier Pedro Sanchez e Antonio Costa, perlomeno che lo facciano senza sottoporsi nei fatti a una sorta di vigilanza esterna.
I soldi del Recovery Fund non arrivano e Conte adesso è nei guai
I dubbi degli stati su MES e Recovery Fund
Il MES non prevede alcuna condizione per i fondi elargiti nell’ambito dell’emergenza Covid, se non quella che siano utilizzati per finanziare voci di spesa “direttamente o indirettamente” collegati alla crisi sanitaria. Tuttavia, il timore dei più nel Sud Europa è che questo patto soltanto informale tra gli stati membri venga spezzato dopo le erogazioni e che qualcuno (l’Olanda?) alzi il dito per chiedere che sulla base del Trattato di funzionamento della UE siano rispettate le condizioni previste per i casi di concessioni di prestiti.
Il Recovery Fund prevede quali condizioni per l’accesso la presentazione di progetti finanziabili da parte dei governi europei. Inoltre, essi dovranno rispettare le linee di politica fiscale impartite da Bruxelles, cioè dovranno sostanzialmente seguirne l’indirizzo in fatto di deficit e riforme economiche. Poiché i prestiti verrebbero erogati in tranches, gli stati richiedenti rischiano una doppia umiliazione: in fase di presentazione dei progetti, nel caso in cui questi fossero respinti; in fase di implementazione dei finanziamenti, qualora divergenze su conti pubblici e riforme bloccassero le erogazioni, un po’ come avvenuto spesso in questi anni tra la Troika (UE, BCE e FMI) e la Grecia.
In generale, però, gli stati del Sud Europa stanno potendosi permettere di fare gli schizzinosi e finanche di ipotizzare la rinuncia a centinaia di miliardi di euro per il semplice fatto che la BCE ne ha abbattuto i rendimenti sovrani sui mercati finanziari. Ormai, l’Italia stessa riesce a finanziarsi a costi negativi fino alla scadenza dei 4 anni e non paga nemmeno l’1% fino ai 15 anni. Meglio ancora fa la Spagna, con rendimenti negativi fino agli 8 anni e che non arrivano su nessuna scadenza all’1%. In pratica, Madrid, Lisbona e Roma possono indebitarsi a tassi bassissimi, non trovando conveniente rivolgersi al MES e, in parte, neppure al Recovery Fund, i quali implicherebbero pur sempre dare conto a creditori pubblici, cioè agli alleati europei.
Recovery Fund in bilico, per l’Italia cresce il rischio di una crisi senza argine