Vi immaginavate che il sindaco del Comune in cui risiedete avrebbe potuto entrare nel vostro conto corrente per riscuotere le imposte locali da voi non versate in tempo? La manovra del governo Conte-bis sta per renderlo possibile. All’art.96 e sotto il titolo “Riforma della riscossione degli enti locali”, essa consente ai Comuni, alle Province, alle città metropolitane, ai consorzi e alle unioni dei comuni di avvalersi degli stessi poteri di riscossione in capo all’Agenzia delle Entrate. Come? Se il contribuente non paga, tra le forme di esecuzione forzata per riscuotere le imposte vi sono il pignoramento dei suoi conti correnti e il fermo dell’auto.
I tributi oggetto della norma sono l’IMU, la Tari, la Tasi, la Tosap, il bollo auto, la retta scolastica e l’imposta sulle affissioni e pubblicità, oltre alle multe per l’infrazione del codice della strada. In tutti questi casi, l’ente potrà comunicare al contribuente entro 3 mesi dalla notifica dei mancati pagamenti che intende attivare la procedura di riscossione tramite pignoramento del conto corrente o il fermo dell’auto. A quel punto, il contribuente avrà 6 mesi di tempo per regolarizzare la sua posizione. Come? Pagando. Non è detto che il pagamento debba avvenire per intero, perché se viene concessa la rateizzazione, basterebbe iniziare a pagare le prime rate per allontanare lo spauracchio della riscossione coattiva.
E la rateizzazione è possibile per importi superiori ai 100 euro. Fino a 500 euro, le rate mensili saranno 4; da 501 a 20.000 euro, saranno fino a un massimo di 72. Attenzione, perché per importi fino a 10.000 euro, il pignoramento del conto corrente e il fermo dell’auto sono possibili, a patto che l’ente invii al contribuente moroso un sollecito di pagamento e che questo rimanga inevaso. Dunque, nel tempo massimo di 9 mesi, un Comune sarebbe nelle condizioni di riscuotere le tasse evase dal contribuente, prelevando le somme direttamente dal conto corrente.
Pignoramento conto corrente: scatta anche per mancato pagamento delle multe?
Rapporto squilibrato tra Pubblica Amministrazione e contribuenti
Dovrebbero applicarsi le norme, in base alle quali per i titolari di conti correnti che siano lavoratori dipendenti o pensionati, il pignoramento è possibile solo per le somme eccedenti il triplo dell’assegno sociale, pari per il 2019 a 457,99 euro, cioè per somme superiori a 1.373,97 euro. Gli accrediti successivi alla data del pignoramento, invece, risulterebbero pignorabili per un quinto. Negli altri casi, invece, i conti correnti risultano pignorabili al 100%. Ora, se considerate che in alcune aree del Meridione il tasso di evasione delle imposte locali, specie la Tari, tocchi punte del 50%, strumenti come quelli contenuti nel testo della manovra apparirebbero persino auspicabili per porre rimedio a un malcostume diffuso e che spesso poco ha a che vedere con l’insufficienza dei redditi per provvedere ai pagamenti.
Il punto è un altro: il rapporto tra Pubblica Amministrazione e contribuenti dovrebbe essere improntato a un criterio di equilibrio. Se il contribuente non paga, l’ente avrebbe il diritto a riscuotere il dovuto, ma a patto di essere anch’esso sottoposto a regole simili nel caso di sua inadempienza. I debiti che la P.A. ancora ha nei confronti dei fornitori (imprese o liberi professionisti fornitori di beni e servizi) ammontano a 53 miliardi di euro, denaro che non essendo stato riscosso per tempo da chi ha offerto a comuni e province beni o servizi, finisce in molti casi per mandare a gambe per aria le piccole attività legate ai territori, gettando nella disperazione migliaia di dipendenti e le loro famiglie, spesso impossibilitate così a pagare le imposte, pur dovute.
I ritardi della P.A. hanno esacerbato la crisi economica dopo il 2009, aggravando la mole dei crediti deteriorati delle banche e finendo per ripercuotersi negativamente sugli stessi enti locali, il cui gettito è in molti casi letteralmente imploso per i pagamenti mancati o non puntuali dei contribuenti, tra i quali si è diffuso un rigetto verso la gestione della cosa pubblica, anche per via della scarsa efficienza con cui le risorse sono gestite, specie sotto Roma.
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