Dall’1 gennaio del 2016, anche in Italia, come nel resto dell’Eurozona, entra in vigore la nuova disciplina comunitaria sul cosiddetto “bail-in”, in seguito al recepimento della direttiva UE, Brrd (“Bank recovery and resolution directive”), che regola i salvataggi bancari. Per evitare che in futuro il peso dell’eventuale salvataggio di una banca ricada sui contribuenti, è stato deciso che fino all’8% dei passivi e in caso di rischio crac, un istituto debba coinvolgere nelle perdite, nell’ordine: gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati, gli altri obbligazionisti ordinari non garantiti e, infine, i conti correnti e deposito, ma limitatamente all’importo superiore ai 100.000 euro e sempre che il governo del paese, dove il salvataggio a carico dei privati avrebbe luogo, non dichiari che l’addossamento delle perdite sui correntisti provocherebbe una destabilizzazione finanziaria, bloccando così l’operazione.
Conti correnti, i rischi effettivi
Ad ogni modo, i conti correnti e deposito sopra i 100.000 euro e limitatamente all’importo superiore ai 100.000 euro potrebbero essere effettivamente intaccati per i casi rari (per fortuna), ma possibili di un rischio insolvenza della banca, in cui sono stati accesi. Mai come adesso, quindi, è importante pensare bene a quale istituto affidare i nostri risparmi, perché parte di questi potrebbero andare in fumo. Ma come funziona la disciplina? Poniamo che una banca, presso cui abbiamo depositato un conto da 200.000 euro, abbia un problema d’insolvenza, tale per cui dovrà tagliare parte dei conti correnti dei clienti. Fatto salvo che i primi 100.000 euro non potranno esserci toccati, la banca potrà agire solo sulla cifra superiore a questa soglia e, quindi, nell’esempio appena citato, il rischio massimo è di perdere fino a tutti i secondi 100 mila euro, ossia la metà del conto. In una situazione più realistica, si potrebbe assistere a una perdita ancora inferiore, magari vedendosi intaccare “solo” 30-40-50.000 euro.