Grazie al coefficiente di trasformazione gli anni di lavoro sono trasformati in pensione. Come canta Francesco Guccini con il brano L’avvelenata: “Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante”.
L’accesso al trattamento pensionistico, in effetti, è considerato uno dei traguardi più attesi e significativi della propria esistenza.
Dopo aver trascorso diversi anni alle prese con gli impegni lavorativi, d’altronde, è normale desiderare di staccare la spina. Anche una volta usciti dal mondo del lavoro, però, si ha bisogno del denaro per soddisfare le necessità personali.
Sistema di calcolo contributivo, retributivo e misto: le differenze
Ma a quanto ammonta la pensione? Stabilire a priori l’importo di tale trattamento non è possibile. Diversi sono gli elementi che contribuiscono a determinare il valore finale, come ad esempio il criterio di calcolo utilizzato. Quest’ultimo risulta differente a seconda dell’anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995.
Entrando nei dettagli, la pensione si calcola con il sistema contributivo per coloro che alla data poc’anzi citata non abbiano maturato contributi. La pensione per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 registrano un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni si calcola con il sistema retributivo per i contributi maturati fino al 31 dicembre 2011. Si utilizzerà il sistema contributivo per i contributi maturati in seguito. Come spiegato dall’Inps sul proprio sito, infatti, viene applicato a tutti i lavoratori:
“il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012”.
Su quest’ultimo va a incidere il coefficiente di trasformazione che risulta più alto all’aumentare dell’età in cui si va in pensione. Ne consegue che più tardi si esce dal mondo del lavoro, più elevato sarà l’importo dell’assegno pensionistico.
Contributi: il coefficiente che trasforma gli anni di lavoro in pensione
Il metodo di calcolo contributivo, quindi, prevede l’utilizzo del coefficiente di trasformazione che permette di trasformare gli stipendi e gli anni di lavoro in pensione. Come spiegato sempre sul sito dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, infatti, ai fini del calcolo bisogna:
- “individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;
- calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell’aliquota di computo (33% per i dipendenti. Quella vigente anno per anno per gli autonomi […];
- determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (Prodotto Interno Lordo) determinata dall’ISTAT;
- applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell’età del lavoratore, al momento della pensione”.
Ne consegue che non necessariamente chi vanta tanti anni di contributi otterrà una pensione cospicua. Ad avere un ruolo determinante è anche la retribuzione. Se nei primi anni di carriera si è percepita una retribuzione particolarmente bassa rispetto a quella ottenuta nel corso degli ultimi anni di lavoro, pertanto, si dovrà fare i conti con un importo notevolmente più basso rispetto all’ultimo stipendio percepito.
Per cercare di ovviare a tale situazione potrebbe essere opportuno rimandare di qualche anno l’uscita dal mondo del lavoro in modo tale da beneficiare di un coefficiente di trasformazione più alto. Ad oggi, ad esempio, il valore di tale coefficiente è pari al 4,27% per chi va in pensione all’età di 57 anni e a quota 5,723% per chi attende il raggiungimento dei 67 anni di età. In caso di dubbi si consiglia di utilizzare il simulatore messo a disposizione sul sito dell’Inps per sapere, indicativamente, quando e come sarà possibile accedere alla pensione e iniziare a fare i dovuti calcoli.