Avete mai pensato a cosa può accadere ai contributi versati all’Inps per ottenere un giorno la pensione, nel caso in cui non maturaste il diritto a percepire l’assegno? Ad oggi, il requisito minimo per fare domanda della pensione di vecchiaia è il possesso di 20 anni di contributi previdenziali. E se ne versi di meno? L’Inps te li restituisce o li perdi? La risposta che vi diamo subito non vi piacerà: i contributi versati senza poi maturare il diritto alla pensione vanno perduti.
Pensione: se non si raggiungono i requisiti l’Inps restituisce i soldi dei contributi?
Per attenuare il mal di pancia, aggiungiamo, però, che per fortuna i requisiti sono diventati meno stringenti a decorrere dall’1 gennaio del 1996, quando è entrata in vigore la riforma Dini. Chi avesse iniziato a versare i contributi da quella data, infatti, potrà accedere alla pensione con il metodo contributivo, anche solo avendo all’attivo 5 anni di contribuzione. Ma se anche un solo contributo fosse stato versato entro il 1995, il diritto maturerà solo con 20 anni.
Ingiusto, ma bisogna tenere presente un dato: il sistema previdenziale italiano non funziona secondo uno schema privatistico, se non parzialmente e al fine del calcolo dell’assegno. Anche quando si stipula una polizza assicurativa privata, nella maggior parte dei casi, è previsto un numero minimo di anni di versamenti dei premi, al di sotto del quale si perde il capitale. Nel caso della previdenza pubblica, ciò avviene per una ragione ben precisa e cioè che lo stato cerca di garantire livelli minimi di sussistenza a tutti, indipendentemente dai contributi versati.
L’equilibrio difficile tra assistenza e previdenza
Avete presente l’assegno sociale? Trattasi di una forma di assistenza garantita a quanti non abbiano maturato il diritto di accesso alla pensione, tra cui proprio coloro che hanno versato contributi insufficienti.
Lo stato offre anche un’altra forma di assistenza a quanti abbiano maturato il diritto alla pensione e, purtuttavia, l’assegno loro erogato risulta inferiore a quello minimo annualmente fissato e che per il 2019 è di 501,89 euro. Si chiama integrazione al minimo, perché come spiega la stessa espressione consta in un aumento dell’importo mensile per mezzo dello stato, così da fare percepire al beneficiario l’assegno minimo. Anche in questi casi, però, bisogna non superare livelli reddituali, pari a 13.049,14 euro all’anno; al di sotto di tale livello e sopra i 6.524,57 euro, l’integrazione spetta parzialmente, ovvero come differenza tra livello massimo e quello minimo indicati. Per non parlare degli assegni di invalidità o del riconoscimento dei contributi figurativi per maturare i requisiti pensionistici.
Assegno sociale: decade se il coniuge inizia a lavorare?
In buona sostanza, i contributi perduti restano nella disponibilità dell’Inps, che nei fatti ha incassato per anni e non dovrà sborsare alcunché. In cambio, vanno idealmente a finanziare le misure di sostegno all’assistenza in favore di quanti non abbiano maturato il diritto alla pensione. Infine, una precisazione: l’Inps non tiene i contributi versati in un cassetto, né li investe per garantire un assegno quanto più alto al beneficiario. Semplicemente, li utilizza per pagare le pensioni a quanti in quel momento sono in quiescenza.