L’evasione fiscale si annida anche fra coniugi e figli. Non è mistero che fra moglie e marito possano esserci anche interessi che travalichino il puro aspetto sentimentale o familiare. E’ quindi presumibile per il fisco che possano esserci anche intrallazzi volti a evadere le tasse.
Sono numerosi i casi di alienazioni di beni mobili e immobili fra coniugi e figli qualora scattino indagini a carico di una persona o di una società col rischio che la Guardia di Finanza proceda a sequestri preventivi.
Controlli anche sui conti del coniuge professionista
Premesso ciò, è bene sapere che il fisco, nell’ambito delle attività finalizzate al contrasto all’evasione fiscale, può estendere il controllo dei conti correnti bancari anche al coniuge professionista del soggetto sottoposto a verifica. Tale attività di “spionaggio” – come recita l’ordinanza numero 32427 della Corte di Cassazione del 11 dicembre 2019 – è legittima poiché le attività bancarie del coniuge professionista possono essere riconducibili al potenziale evasore. La decisione dei supremi giudici parte dall’assunto normativo previsto dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in base al quale, in tema di accertamenti bancari a fini fiscali, che responsabilizza il professionista di tutte le movimentazioni del proprio conto. Per cui i versamenti e gli incassi di denaro non giustificati sono assimilabili a reddito non dichiarato e quindi tassabile.
Gli accertamenti sui conti dei coniugi sono regolari
Affinché le movimentazioni siano regolari, quindi – scrive la Cassazione – è necessaria “la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività”, e non una prova generica. Più precisamente, in assenza di prove di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti “deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente”.
I controlli sui conti correnti
Detto questo, è bene prestare la massima attenzione alle operazioni che si faranno. Per l’Agenzia delle Entrate i bonifici e i versamenti sul conto costituiscono sempre presunzione di evasione fiscale se non vi è rispondenza con la dichiarazione dei redditi presentata o la provenienza del denaro non è chiara e documentata. Effettuare un versamento in contanti, quindi, è rischioso se non si riuscirà a dimostrare da dove arrivano i soldi. Pertanto è sempre bene conservare una pezza giustificativa qualora il fisco chieda chiarimenti, pena il pagamento di sanzioni e imposte. In questo modo pare che il fisco voglia terrorizzare il contribuente, ma i controlli – è bene precisare – saranno mirati.
Cosa controlla il fisco in banca
Il Fisco, attraverso l’anagrafe dei conti correnti che raccoglie milioni di informazioni e dati contabili, ha oggi accesso diretto a tutti i rapporti finanziari e alle movimentazioni operate sui conti correnti, in entrata e in uscita: riesce così a conoscere nel dettaglio, sia in tempo reale che a distanza di tempo, ogni movimentazione di denaro e, se non troverà rispondenza con la dichiarazione dei redditi, scatteranno gli accertamenti. Paradossalmente, chi movimenta soldi ma non percepisce redditi, sarà chiamato a dimostrarne la provenienza. Nel mirino dei controlli che saranno effettuati il prossimo anno finiranno inizialmente quelle categorie con regime tributario meno dettagliato ed analitico e che perciò richiedono un maggior lavoro di approfondimento: dunque i forfettari in regime di flat tax e coloro che, sottoposti agli Isa (gli indici sintetici di affidabilità fiscale che hanno sostituito i vecchi studi di settore) fanno emergere scostamenti di rilievo.
Come difendersi dai controlli
Esistono comunque dei termini ben definiti per contestare eventuali somme di denaro movimentate sul conto corrente. La decadenza è di cinque anni che si contano a partire dall’anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi. Se però la dichiarazione non è mai stata eseguita, il termine diventa di sette anni. Se la contestazione avviene all’interno di questo arco temporale, il contribuente cosa può fare per difendersi? In sostanza bisogna provare che il denaro proviene da fonte non imponibile, cioè esentasse (vendita di beni usati, donazione, prestito, ecc.) oppure che sia già stato tassato alla fonte (vincita alla lotteria).