Le tensioni tra Corea del Nord e USA sono risalite alle stelle, dopo una settimana in cui si era registrata una tacita riduzione dell’escalation militare tra i due paesi. Il dittatore Kim Jong-Un ha minacciato di cancellare dalla faccia della terra l’America, utilizzando espressioni simili a quelle esternate dall’Iran contro Israele negli anni bui del presidente Ahmadinejad. Minacce, quelle di Pyongyang, che suonano più gravi di quelle di Teheran degli anni passati, perché il paese possiede un arsenale nucleare, in grado, se non di cancellare gli USA, certamente di provocare un disastro umanitario e geo-politico in tutta l’Asia nord-orientale.
Se l’amministrazione Trump non esclude alcuna opzione contro Jong-Un, prima di arrivare alla guerra vera e propria, sarebbe necessario che valutasse un’altra misura, in grado potenzialmente di fare molta leva su Pechino e di costringere Pyongyang a indietreggiare sulla follia della corsa al nucleare. Parliamo delle sanzioni cosiddette secondarie. (Leggi anche: Corea del Nord, spese militari record)
L’embargo cinese non basta
E’ del 26 febbraio scorso la notizia che la Cina ha sospeso le importazioni di carbone dalla Corea del Nord, corrispondenti a circa il 30% delle intere esportazioni di quest’ultima. Il governo di Pechino ha deciso di aderire alle sanzioni ONU del 2016, segnalando irritazione per i svariati test nucleari del regime nordcoreano e annessi lanci di missili balistici.
Tuttavia, come riporta il Financial Times oggi, le relazioni commerciali tra Cina e Corea del Nord appaiono sostanzialmente intatte e la vita a Pyongyang, pur misera, continuerebbe a non risentire dell’impatto dell’embargo cinese. Nel primo trimestre di quest’anno, anzi, l’interscambio tra i due paesi risulta cresciuto del 34% a 1,2 miliardi di dollari, di cui 750 milioni di esportazioni cinesi. (Leggi anche: Cina rispedisce carbone in Corea del Nord)