Sanzioni finanziarie secondarie
Che le sanzioni siano inefficaci? Sì e no. Dipende il più delle volte dalle modalità con le quali vengono comminate. Se gli USA utilizzassero l’apparato sanzionatorio utilizzato dal 2011 contro l’Iran, anche in quel caso contro gli armamenti nucleari, il regime nordcoreano rischierebbe di trovarsi alle corde molto più di quanto non lo sia già. Ma come?
Nel 2011, Washington comminò anche sanzioni finanziarie contro le banche iraniane, chiarendo alle banche straniere del resto del mondo, che avrebbero avuto una scelta dinnanzi a sé: fare affari con le banche di Teheran, ma perdere l’accesso al sistema finanziario americano, oppure non intrattenere alcun rapporto con gli istituti iraniani, conservando l’accesso agli USA.
Le relazioni tra Pechino e il regime di Kim Jong-Un
Una banca cinese, la Kunlun, si rifiutò di cessare le relazioni finanziarie con le banche iraniane, ma gli USA la avvisarono che non avrebbe più potuto fare affari con le banche a stelle e strisce. Il governo cinese tentò una protesta formale, emettendo un comunicato dai toni pacati, ma quando comprese che dall’America di Barack Obama non sarebbero arrivati sconti, la Kunlun Bank sospese ogni rapporto con Teheran, altrimenti avrebbe dovuto rinunciare ad avere contatti con il mercato finanziario più grande, liquido e importante al mondo, quello che consente anche l’accesso ai dollari.
Oggi, sappiamo che le società nordcoreane fanno affari in Cina, accedendo a società locali, che a loro volta detengono conti accesi presso le banche cinesi. Se Washington imponesse anche sanzioni finanziarie, finora escluse, la Cina sarebbe posta dinnanzi a una scelta drastica: consentire alle proprie banche di intrattenere relazioni finanziarie con società e banche nordcoreane, ma perdendo l’accesso al mercato finanziario USA, oppure tagliare i ponti con Pyongyang, continuando ad averli con la finanza americana.