Sotto Kim Jong-Un, ricchezza resterà non sfruttata
Come mai la feroce dittatura non è in grado di sfruttare una simile ricchezza, che le sarebbe comoda anche per finanziare le sue elevatissime spese militari, le quali oggi assorbono circa un quarto del pil nazionale? Secondo Llyod R.Vasey, fondatore del think-tank Center for Strategic and International Studies, la produzione mineraria, che comunque vale il 14% del pil nordcoreano, sarebbe diminuita nel paese sin dagli inizi degli anni Novanta e oggi viaggerebbe a meno del 30% della capacità.
Prendiamo le terre rare, un insieme di 17 elementi della tavola periodica, che vengono impiegate dall’industria per la produzione dei dispositivi elettronici e che stanno diventando una materia prima sempre più preziosa. Si stima che la Corea del Nord possegga riserve per 20 milioni di tonnellate su un totale di 120 milioni di tonnellate nel resto del mondo, di cui 40 in Cina, primo produttore mondiale con una quota di mercato dell’83% nel 2016 (105.000 tonnellate prodotte, di cui quasi un terzo esportate).
In pratica, mentre il mondo si affanna a trovare una soluzione per rispondere alla crescente domanda di terre rare, l’offerta globale risulta inferiore al suo potenziale, a causa dell’incapacità di Pyongyang di estrarle ed esportarle, nonostante avrebbe più bisogno che mai di dollari e di un generale aumento del benessere. E contrariamente alla Cina degli ultimi decenni o all’ultima fase dell’Unione Sovietica, il brutale regime di Kim Jong-Un non sembra né intenzionato, né in grado di uscire dall’isolamento economico e dalla chiusura ideologica in cui si trova da una settantina di anni.