Lo scontro tra USA e Corea del Nord si fa ai massimi livelli, dopo che Pyongyang ha minacciato di attaccare entro pochi giorni l’isola di Guam, un protettorato americano nel Pacifico, sentendosi rispondere dal presidente Donald Trump che otterrebbe come risposta “furia e fiamme”. I toni sono diventati così elevati, che dentro l’amministrazione USA si sta tentando da parte del segretario di Stato, Rex Tillerson, e di quello alla Difesa, James Mattis, di abbassarli e di ricercare ancora una soluzione negoziale con Kim Jong-Un, il 33-enne dittatore nordcoreano, in carica da quasi 6 anni.
Pochi giorni fa, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato all’unanimità la condanna delle minacce di Pyongyang contro gli USA. Persino Cina e Russia, storici alleati del regime dei Kim, hanno apertamente preso le distanze, per quanto ancora non abbiano rotto con esso.
Ma di preciso Jong-Un cosa vorrebbe? Difficile capirlo. Il giovane non ha mai incontrato alcun leader straniero e non ha nemmeno posto mai un piede fuori dal suo paese da quando è succeduto al padre. La sua campagna nucleare non pare essere negoziabile. A differenza del padre Kim Jong-Il, non intenderebbe trattare con la comunità internazionale sui programmi nucleari, come al tempo fece il padre, che li barattò per gli aiuti alimentari. (Leggi anche: Kim Jong-Un, chi è dittatore nordcoreano che minaccia la guerra nucleare)
Economia nordcoreana, quali condizioni reali?
Sotto l’attuale leader, l’economia nordcoreana è migliorata sensibilmente, pur restando tra le più povere del pianeta. Lo scorso anno, la crescita del pil è stata del 3,9%, il ritmo più veloce da 17 anni, merito anche della sua politica di tolleranza verso l’iniziativa privata, non codificata in alcuna norma ufficiale, ma che nei fatti consente a diversi piccoli commercianti e imprenditori in aree urbane come la capitale di aprire un’attività senza essere arrestati o deportati in un campo di “rieducazione”.
Nonostante ciò, la Banca di Corea stima il pil nordcoreano in 32 miliardi di dollari, pari a uno pro-capite di appena 1.300 dollari, tra i più bassi al mondo. Un quinto di esso viene impiegato dal regime per scopi militari, sottraendo risorse preziose allo sviluppo economico. L’interscambio commerciale con il resto del pianeta si aggira ad appena un quinto del pil, ovvero sui 6,5 miliardi, frutto di importazioni per 3,7 miliardi ed esportazioni per 2,8 miliardi nel 2016. In sostanza, Pyongyang registra un passivo commerciale costante.
E nel 2017 potrebbe andare molto peggio. Anzitutto, perché un terzo delle esportazioni nordcoreane sono di carbone e il 90% degli scambi commerciali si hanno con la Cina. Pechino ha aderito alle sanzioni ONU dalla fine di febbraio, bloccando le importazioni di carbone dalla Corea del Nord, cosa che dovrebbe contribuire, insieme alla più grave siccità vissuta dal paese asiatico dal 2001, a una recessione del 5% del pil, secondo i calcoli di IHS Markit. (Leggi anche: Cina rispedisce carbone in Corea Nord e aderisce alle sanzioni ONU)